Che Southgate pensi ad Amleto, non c’è poi da dargli torto, evocando i ricordi di Danimarca. A ricordarglielo non è tanto la semifinale vinta 2-1 nella scorsa edizione dell’Europeo, quanto quel che è accaduto nel 1992. Con queste premesse, oggi alla Frankfurt Arena e poco dopo l’ora del the, la Nazionale di Sua Maestà sfida i danesi, reduci all’esordio dall’1-1 con la Slovenia.
Un pareggio, esattamente come quello che inaugurò l’Europeo di 32 anni fa, quando la squadra dei ripescati fece ritorno in porto con un banco di tonni. Sì, perché Schmeichel papà e Laudrup Michel da quell’Europeo ne sarebbero usciti vincitori contro pronostico, loro che neanche ci sarebbero dovuti essere, se non fosse stato per il contemporaneo sgretolamento politico e sportivo della Jugoslavia. Quella Danimarca divenne campione continentale dal pareggio a reti bianche contro l’Inghilterra, che il suo girone A lo finì addirittura all’ultimo posto, alle spalle anche della Francia (terza, ed eliminata) e i padroni di casa svedesi (primi).
Era l’Inghilterra di Platt e Walker, inteso come Des, una vita al Nottingham Forest e una stagione nella Sampdoria di inizio anni Novanta con Mancini e Chiesa, inteso come Enrico. L’altro Walker, Kyle, è anche lui difensore e nella sfida di oggi alle 18 prenderà posto in campo con il 2 sulle spalle, in fascia destra. Proprio come si conviene quando si vuole fare della storia un valore, anche nel posizionamento in campo. Don’t look back in anger, intona Southgate prendendo in prestito le parole di Liam Gallagher.
Così Pikford scenderà tra i pali con il numero 1, in una difesa a quattro con lo stesso Walker, Stone, Guehi e l’eccezione Trippier con il 12, in una linea che schiera in fila il 2, il 5 e il 6.
Il tutto dietro a Kane, ovviamente centravanti numero 9. Perché non perdersi nel tra essere e non essere, l’Inghilterra si affida al passato per scrivere il futuro.
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