A Carnevale ogni scherzo vale ma, almeno questo fine settimana, la Serie A ha deciso di andare ben oltre, combinandone di tutti i colori. Cosa vi siete persi se eravate in altre faccende affaccendati, magari impegnati ad inseguire i vostri figli dietro un carro? Parecchie cose: dai 200 gol di un bomber eterno, al debutto col botto di un altro centravanti di razza, dalla prova di forza di una provinciale di lusso alla mezza impresa di Capitan Futuro. Le storie più belle ed interessanti del fine settimana di Serie A ve le raccontiamo qui nel nostro pagellone del lunedì. Sempre in ordine decrescente e assolutamente senza mai prendersi troppo sul serio.
Molto più Thu che La, per ora (8)
Le grandi squadre si vedono nei momenti difficili, quando soffri per lunghi tratti e sembri vicino ad andare sotto la linea di galleggiamento. Dopo aver vissuto 45 minuti da incubo, strapazzata da una Roma in trance agonistica, il modo nel quale l’Inter di Simone Inzaghi è tornata in campo e si è presa di prepotenza la partita merita tutti i complimenti del mondo. Nonostante non viva un momento ideale, la mediana nerazzurra ha annullato quella della Roma, dominando in lungo e in largo e trovando le due zampate di un protagonista che, fino a quel momento, aveva deluso. A suonare la carica ci pensa Marcus Thuram, che gioca con la rabbia e la fame di chi vuole diventare grande in fretta.
Il tocco maligno col quale batte sia Mancini che Rui Patricio è roba rara ma anche l’acrobazia che causa la deviazione beffarda di Angelino vale da sola il prezzo del biglietto. La cosa che fa un attimo preoccupare, però, è come la parabola ascendente del transalpino sembri viaggiare in parallelo con quella inversa del Toro Martinez. Sarà l’ansia del gol numero 100 in nerazzurro, sarà che la Dea Bendata non gli è amica o, forse, solo la necessità di rifiatare dopo aver tirato così a lungo la carretta ma Lautaro non ne ha imbroccata una. La fortuna di Inzaghi è che, invece della solita prova opaca, anche Marko Arnautovic si ritrovi, dando lucidità, brio e l’assist per Bastoni che chiude i conti. Le dinamiche di una coppia-gol sono sempre complicate ma, per ora, quando La è in crisi, ci pensa Thu a fare fieno. Come si dice dalle mie parti, finché dura, fa verdura.
Chi fermerà questa Dea? (8)
Nel volubile mondo del calcio è fin troppo facile farsi prendere dal momento e sdilinquirsi in peana appassionati per la squadra più in forma ma l’Atalanta, per ora, gioca il miglior calcio della Serie A. Abbiamo già visto quanto possa essere difficile affrontare il Genoa di Gilardino a Marassi e pure la Dea non ha avuto vita facile, nonostante quello che dica un risultato decisamente bugiardo. La cosa davvero impressionante? Come Gasperini riesca a cambiare modulo a partita in corso, trovando il modo di portare a casa i tre punti. A dargli una grossa mano il fatto che, gara dopo gara, alle solite sicurezze si aggiungano sempre protagonisti nuovi. Se Carnesecchi è fondamentale su Gudmundsson, Scalvini è la chiave della difesa, sfruttando la grinta di “Ringhio” Kolasinac. Quando Holm non gira, Zappacosta sale in cattedra: stesso dicasi della coppia oranje, con Koopmeiners che brilla di luce propria mentre De Roon non è al massimo.
Pasalic corre come un forsennato e ruba i palloni che consentono all’Atalanta di chiudere i conti mentre se Ruggeri fa una partita onesta, alla prova opaca di Scamacca fa da contraltare la buona mezz’ora di Touré, recuperato dopo mesi di fisioterapia e pronto alla maglia da titolare. Ci sarebbe poi il primo tempo da incorniciare di Charles de Ketelaere ma quello, ormai, non fa più notizia: più importanti i passi avanti di Miranchuk, che è sempre un po’ caotico nel suo gioco ma trova comunque il modo di contribuire alla causa. L’orchestra del Gasp non suonerà melodie celestiali del mondo ma è compatta, grintosa e determinata. Sky is the limit.
Ciro 200 e una saracinesca (7)
Dopo la figura da cioccolatai rimediata in quel di Bergamo, gli occhi della critica e di buona parte della tifoseria laziale erano puntati sia su Maurizio Sarri che sull’idolo della curva, quel bomber buono per tutte le stagioni che sembrava avvitarsi in una crisi infinita. Contro il Cagliari del maestro Ranieri servivano sia i tre punti che una scossa all’ambiente e, grazie anche al primo tempo inqualificabile degli isolani, i due obiettivi sono stati raggiunti. Le copertine se le prenderà tutte Ciro Immobile, sia per esser finalmente riuscito ad entrare nel ristretto club dei bicentenari in quanto a gol in Serie A, sia per aver segnato un gol su azione molto complicato. Chi ha giocato un minimo al calcio sa quanto non sia semplice coordinarsi e trovare la porta da quella posizione. Se posso permettermi un consiglio ai tifosi delle Aquile, però, consiglierei di accendere un mega cero alla Madonna per mantenere Ivan Provedel sotto il Cupolone. La prova del guardiameta biancoceleste è da libro dei record: una serie di paratone clamorose che, specialmente nel secondo tempo, mettono in ghiacciaia tre punti fondamentali per la Lazio.
Dopo aver fatto quel che voleva nel primo tempo, la ripresa del Cagliari non è stata affatto banale. Gaetano era scatenato ed il gol della speranza per i rossoblu meriterebbe di essere celebrato a lungo. Stesso dicasi per l’ingresso di Luvumbo, elettrico nelle sue accelerazioni ma, forse, un po’ troppo lontano dalla porta per fare la differenza. Alla fine, però, la Lazio di Sarri stringe i denti, non si fa mandare in confusione dalla prodezza di Gaetano e tira giù la saracinesca. La strada per il quarto posto, visto lo stato di forma delle rivali, non sarà semplice ma aver ritrovato lo smalto proprio prima dell’incrocio col Bayern è decisamente positivo. Certo che se Castellanos avesse fatto una partita un minimo più decente, la gara l’avrebbe potuta chiudere molto prima. Il Cagliari certi errori te li perdona. Le grandi manco per il ciufolo.
Bologna araba fenice (7)
Proprio quando sei pronto ad intonare il de profundis per il Bologna, ecco che i felsinei risorgono dalle ceneri e si ripropongono come terza incomoda nella corsa all’Europa. Otto gol in due giornate, specialmente contro avversarie non semplici, sono un ottimo modo per mettere a tacere i critici di Thiago Motta, tecnico che, evidentemente, non piace alla gente che piace. Da qui a scommettere sul quarto posto ce ne corre, ma tutti i segnali sono quelli di una stagione giusta, di quelle che al Dall’Ara si ricorderà a lungo. Come mai? Perché il Bologna vince e convince anche quando due sicurezze come Freuler e Zirkzee giocano a corrente alternata. L’errore dello svizzero su Krstovic poteva costare caro mentre l’olandese si specchia un po’ troppo, per poi prendersela quando è richiamato in panchina.
Il bello è che, nel momento del bisogno, Saelemakers torna a fare la differenza a centrocampo, Ferguson domina la mediana e, soprattutto, Riccardo Orsolini trova finalmente la via della porta con regolarità. Le buone notizie per i fedelissimi rossoblu non finiscono qui: Fabbian continua a diventare più concreto e propositivo mentre la panchina si conferma in grado di fornire alternative di livello. Ndoye non è al meglio ma comunque le sue scorribande sulla fascia mettono in ambasce la retroguardia salentina. Cosa dire poi del debutto con gol del giovane Odgaard, uno da tenere decisamente d’occhio per il futuro. Se potrà fare un minimo di turnover senza soffrire più di tanto, questo Bologna se la giocherà fino in fondo. Le rivali sono avvertite.
Corto muso in salsa Milan (6,5)
A questo punto viene quasi da pensare che le voci di staffetta in panchina al Milan facciano bene. Dopo 10 anni riuscire finalmente a battere il Napoli in casa non era affatto scontato, considerato i passi avanti dei partenopei nelle ultime giornate. Non è certo un Diavolo scintillante; vive di sprazzi, di giocate dei singoli, ha parecchi giocatori sottotono e non chiude la partita, mettendo a rischio le coronarie dei tifosi rossoneri nel finale. Eppure vince e si porta temporaneamente a meno uno dalla Juventus. Zero sbavature del discusso Maignan, ottima prova di Florenzi chiamato in causa dall’ennesimo problema muscolare, stavolta di Calabria. Se Kjaer fa il compitino, Gabbia si conferma il cuore e l’anima della retroguardia del Milan. Simic rischia il patatrac come successo a Terracciano col Bologna ma viene salvato dal palo: insomma, dietro, più o meno direi che ci siamo.
Possibile che a decidere una partita basti una sola giocata? Quando la propone la premiata ditta Theo-Leao, ci sta. L’azione è quella di sempre; incursione sulla sinistra, assist di Leao, mancino micidiale che gonfia la rete. Eppure gli avversari ci cascano sempre. Tanto efficace è il transalpino, quando frustrante il lusitano: lo vedi che sarebbe capace di fare cose incredibili, dal tiro a giro sventato da Gollini a quel destro un po’ largo che avrebbe chiuso i conti. Peccato che si accontenti, che non dia mai il 100%. Il resto? Quale resto? Il Milan è tutto qui. Bennacer sta tornando ma non è ancora lui, passi avanti da parte di Adli, che spreca poco o niente. Malino gli altri, da un Pulisic contenuto bene ad un Loftus-Cheek che patisce il confronto con Anguissa: quando anche le sicurezze Giroud e Jovic non incidono, di solito finisce a schifio. Invece no, il Milan si scopre allegriano e vince di “corto muso”. Ai tifosi non piace ma se la classifica sorride va bene anche così.
Il Gallo si prende Firenze (6,5)
Ormai è ufficiale: la Fiorentina è la nemica numero uno degli scommettitori. Quando l’undici di Italiano scende in campo, non sai mai cosa aspettarti. Dopo una crisi più che conclamata in attacco, l’ultima cosa che ti immaginavi è che la Viola mettesse cinque gol cinque al Frosinone sudamericano di Di Francesco. I fedelissimi della Maratona si mettano l’anima in pace: questa Fiorentina è fatta così, non c’è niente da fare. Quando tutto funziona schianta le avversarie e sembra capace di qualsiasi impresa ma questo non vuol dire che sette giorni dopo le cose andranno altrettanto bene. Cosa si può imparare da questa squillante vittoria? Che Terracciano è una sicurezza sempre e comunque, che Martinez Quarta è capace di far bene anche quando parte malissimo e che a gente come Duncan e Biraghi bisogna dare sempre fiducia.
Una volta tanto, però, le buone nuove arrivano dall’attacco, dove finalmente gli automatismi iniziano a funzionare. Se il primo a rendersi pericoloso è Beltran, che è sfortunato a prendere una traversa piena, la partita la chiudono subito Ikoné e Belotti. I primi 20 minuti del francese sono da applausi ma continua ad essere determinante fino alla fine mentre il Gallo saluta la prima maglia da titolare con un gol dei suoi, che gli mancava dall’8 ottobre. Quando lascia il posto a Nzola, il Franchi gli tributa una standing ovation meritatissima. Tutto ha funzionato al meglio: Nico Gonzales torna al gol in maniera enfatica, Barak entra e segna subito e lo stesso Bonaventura, distratto dai problemi sul rinnovo, per poco non mette in porta un gran tiro a giro. Mettere una gara del genere prima del momento critico della stagione è quantomai positivo ma, se tanto mi dà tanto, la Viola troverà comunque il modo di complicarsi la vita.
Roma, c’è futuro dopo Lukaku (6)
Uno dei tanti luoghi comuni del calcio è che spesso il punteggio non riflette affatto quel che si è visto in campo. Questo spiega perché, nonostante le quattro pere che si ritrova sul groppone, il mood della tifoseria giallorossa dovrebbe volgere all’ottimismo. Nella sfida alla capolista, la nuova Roma di De Rossi ha fatto un primo tempo di grande livello e un finale nel quale ha sfiorato più volte il pareggio. Le radio romane si saranno già scatenate nei processi ma, almeno per quanto ho potuto vedere seguendo la gara per Il Giornale, di ragioni che inducono ad un moderato ottimismo ce ne sono a profusione. Prima di tutto, vanno fatti i complimenti a Capitan Futuro per aver schierato i giallorossi alla grande, imponendo il suo stile di gioco per ben oltre il primo tempo.
La mano dell’ex capitano della Roma è poi evidente nella trasformazione di El Shaarawy ma anche di Baldanzi, che appena entrato in campo, dà la scossa alla squadra, quasi riaprendo la partita. Aggiungi una buona frazione di Zalewski e il solito Pellegrini tuttofare e il futuro della Roma sembra roseo. Il problema dei problemi, però, sta nelle due stelle più attese. Se Dybala parte alla grande ma ha il serbatoio sempre mezzo vuoto, Lukaku passa da un disastro all’altro. Tutti ricorderanno come si faccia ipnotizzare da Sommer ma il gol dell’1-0 dell’ex laziale Acerbi ce l’ha sulla coscienza. Servirà ancora tempo per trovare continuità e solidità ma De Rossi ha già fatto un mezzo miracolo. Diamogli fiducia.
Toro, a Vlasic serve aiuto (5)
Ma come si fa a dare un’insufficienza ad una squadra che porta a casa il quinto risultato utile consecutivo? Secondo me ci sta eccome. Se Juric merita tutte le lodi del mondo per esser riuscito a catechizzare a dovere i suoi, dai granata ci si deve aspettare di più. Affrontare al Mapei Stadium una squadra schizofrenica come il Sassuolo di Dionisi non è mai facile ma non approfittare dell’ennesima assenza di capitan Berardi è un errore da matita blu. Cosa si può capire da questo pareggio in trasferta? Prima di tutto che avere un Vlasic ispirato non basta più per portare a casa i tre punti. Finora, ogni volta che il serbo era in giornata, la banda Juric faceva bottino pieno: stavolta, invece, il suo gran lavoro sulla tre quarti è stato sprecato da un Sanabria in piena involuzione e da un Okereke che non va oltre a qualche sgommata.
A strappare un sorriso al tecnico slavo il fatto che Duvan Zapata si conferma un tanque mica da ridere, utile sia per togliere marcatori ai compagni che per convertire in reti le imbeccate di Vlasic. Non trova il meritato 2-1 per un niente in pieno recupero, prova provata che, almeno dal punto di vista atletico, il colombiano è tornato quello di una volta. Il problema vero è che il Sassuolo di un pericolosamente traballante Dionisi non è che abbia fatto chissà cosa e porta a casa un punto che fa morale e poca classifica. Magari eviterà di fare la fine di SuperPippo Inzaghi per un’altra settimana ma quando tra i tuoi si salvano solo Henrique e Laurentié, che ha fatto un secondo tempo di livello, facendo passare un pessimo quarto d’ora a Milinkovic-Savic, qualcosa non va. Ecco perché la sensazione è che il Toro abbia perso una grossa occasione di rifarsi sotto alle grandi. Questi treni passano raramente in Serie A: perderne uno così invitante è tafazziano.
Napoli, quando piove diluvia (4)
Il fatalismo va sempre di moda sotto il Vesuvio ma, almeno a giudicare da come sta andando la stagione del Napoli, difficile non dare ragione a chi se la prende col malocchio. Da quando è arrivato Mazzarri è sempre un passo avanti, due indietro. Le assenze nei posti chiave c’entrano, ovviamente; un attaccante come Osimhen non lo trovi certo all’Esselunga. Ma la prova messa a San Siro è sicuramente un passo indietro per i partenopei. Scorrendo l’elenco dei giocatori in campo non ci sono nemmeno troppe prove disastrose: Gollini, ad esempio, a parte il gol, ha fatto ottime cose, come Politano, che prova a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Di Lorenzo battaglia a lungo con Theo Hernandez e paga l’unica distrazione col gol partita ma ha comunque retto l’urto. Mazzocchi ha gamba e il piglio giusto e, nei 25 minuti concessigli da Mazzarri, Lindstrom fa capire che potrebbe fare molto di più. Il problema è che le sufficienze piene finiscono qui. Il resto dei giocatori in maglia azzurra è l’apoteosi della mediocrità, delle prestazioni al limite della decenza, troppo poco convinti per aggredire la partita come facevano l’anno scorso con Spalletti.
Rrahmani soffre con la difesa a tre ma migliora nella ripresa, quando Mazzarri passa a quattro: Anguissa è micidiale nella pressione ma troppo impreciso, Lobotka è irriconoscibile e costringe il sodale Zielinski ad arretrare troppo. La coppia in avanti, poi, è l’inno al “vorrei ma non posso”: Kvaratskhelia fa quasi commuovere per la voglia che ci mette, l’ostinazione nel cercare la giocata vincente, dando tutto fino a quando finisce la benzina. Simeone, invece, spreca due occasioni incredibili, condannando il Napoli: l’impegno, sia lui che Raspadori, lo mettono sempre ma nel duello con Gabbia e Kjaer finiscono sempre sconfitti.
La cosa che mi farebbe più infuriare se tenessi al Napoli è proprio il buon finale: questa era una partita che i partenopei avrebbero dovuto giocarsi meglio, contro un Milan in crisi. Non ci sono riusciti e le colpe, invece di essere distribuite su tutta la rosa, finirà per prendersele Mazzarri. Non è giusto, ma nel calcio le cose vanno sempre così.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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