Gli iraniani Jafar Panahi et Mohammad Rasoulof - attualmente oggetto di una procedura giudiziaria in Iran che gli è valsa una condanna a sei anni di prigione e un divieto di lavorare per vent'anni nei confronti della quale hanno fatto appello - saranno presenti al Festival di Cannes con due film realizzati in condizioni semi-clandestine: è quanto riferisce una nota diffusa dall'ufficio stampa dello stesso Festival di Cannes, che è riuscito ad ottenere le due pellicole. «Il fatto di essere vivi e il sogno di mantenere il cinema iraniano intatto ci incoraggia a superare le restrizioni che ci vengono imposte», ha commentato Jafar Panahi, in un messaggio rivolto al Festival aggiungendo: «I nostri problemi sono la nostra fortuna». E ancora: «La comprensione di questo promettente paradosso ci incita a non perdere la speranza e a proseguire il nostro cammino. Problemi più o meno seri continuano ad esistere in tutto il mondo. Tuttavia, il nostro dovere ci incita a non cedere e a cercare delle soluzioni».
«Be Omud e Didar» (Arrivederci) di Rasoulof (Iran, 2011) è stato selezionato per la sezione «Un certain regard» e verrà presentato il 13 maggio. Interpretato da Leyla Zareh, Fereshteh Sadreorafai, Shahab Hoseini e Roya Teymorian, il film - realizzato lo scorso inverno - racconta la storia di una giovane avvocatessa di Teheran alla ricerca di un visto per lasciare il Paese.
«In film nist» (Questo non è un film) di Jafar Panahi e Mojtaba Mirtahmasb (Iran, 2011) è stato invece selezionato per nella «Seance speciale» e verrà presentato il prossimo 20 maggio. Il film racconta la difficile situazione di Panahi, ormai da mesi in attesa in attesa del verdetto della corte d'appello iraniana. Attraverso la rappresentazione di una giornata della sua vita quotidiana, Panahi e un altro regista iraniano, Mojtaba Mirtahmasb (specializzato in documentari ed ex-assistente regista), offrono uno spaccato dell'attuale situazione del cinema iraniano. «Il film di Rasulof e le condizioni nelle quali è stato girato, come anche il racconto di Jafar Panahi dei giorni della sua vita d'artista in cui gli è vietato di lavorare, - spiegano Gille Jacob e Thierry Fremaux, responsbili del festival di Cannes - sono una resistenza alla condanna. Il fatto che questi due film arrivino Cannes nello stesso momento e marchiati dallo stesso destino è un atto di coraggio e al tempo stesso un meraviglioso messaggio artistico.
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