Una storia che mi riguarda personalmente testimonia i percorsi tumultuosi delle opere di Antonio Canova (1757-1822). Recentemente Silvio Berlusconi si è sposato, contro i miei consigli, in una villa meravigliosa che sta a Lesmo, nella frazione Gernetto. Ebbene, in quella struttura c'è una cappella, iniziata dall'architetto Gian Luca della Somaglia nel 1812, non soltanto come cappella funeraria ma anche per contenere, dopo che il conte Mellerio, proprietario della villa, aveva incontrato Canova a Roma, le stele commissionate allo scultore in memoria dello zio Giovanni Battista e della moglie Elisabetta Castelbarco.
A Possagno sono custoditi i gessi, ma i marmi, nel percorso della villa - dalla famiglia Della Somaglia, attraverso una proprietà intermedia del Credito Italiano che vi aveva fatto un corso di formazione, fino a Berlusconi che la compra nel 2007 e la restaura mirabilmente - in un momento imprecisato, intorno al 1970, io presumo, sono stato portati via, con un atto di vandalismo (per cercare di vederli all'estero). E con essi anche la pala sull'altare, commissionata da Giacomo Mellerio allo scultore Giuseppe De Fabris, allievo di Canova, per commemorare la figlia Giovannina morta prematuramente. In basso, come Ilaria del Carretto, era la donna distesa, che ho acquistato io quarant'anni fa ed è nella mia collezione. Ed è smontata e alienata anche la pala che adesso è presso un antiquario.
Per cui tutta la cappella è stata smantellata, contro il principio di tutela che, rispetto alle opere d'arte, presuppone, ove siano importanti, una valutazione di due tipi: o la notifica di un'opera mobile o il vincolo per un'«opera immobile per destinazione». Come è una tela dentro uno stucco, o - come in questo caso - un insieme di sculture fatte per quella cappella. Quindi devono stare lì. Fu un abuso, un arbitrio, un'azione vandalica portarle via. Eppure vengono resecate, mutilate, mandate a Palermo dove un bravo sovrintendente, Vincenzo Scuderi, nel 1975-76 le vede, le riconosce, le vincola, e le acquista per lo Stato (per la Regione, che in Sicilia è lo Stato). Dunque, quelle opere vengono acquistate a Palermo. Si blocca la loro fuoriuscita all'estero però sono lontanissime dal luogo di origine. Con una brutta parola, si possono definire «decontestualizzate», ovvero orfane. Io le vedo, nel 1984-85, in un palazzo del Comune, Palazzo Mirto, dove viene fatta una bella mostra sul Neoclassico a Palermo, come se Canova avesse avuto qualche buona ragione per fare qualcosa là... Ma era una finzione, una ricostruzione: era certamente il modo per dire abbiamo ritrovato e salvato queste opere. Il Neoclassico a Palermo non c'entra nulla. E stanno confinate in questo palazzo, anche bello, arredato. Poi da lì, per una misteriosa ragione, vengono portate in un deposito lapideo della Sovrintendenza, a Palazzo Ajutamicristo. Io le ho riviste quando ero assessore in Sicilia qualche anno fa: le ho guardate, e mi è venuto in mente come esse in fondo fossero totalmente orfane, senza rapporto con niente. Quindi, diventato presidente della Gipsoteca di Possagno, penso di fare questa operazione un po' pop, che però è anche corretta: ricostruire la cappella del matrimonio di Berlusconi, una cappella vuota, una cappella devastata. Allora, per affetto, gli ho detto: «Sai cosa faccio? Ti ricostruisco, nel museo di Canova, la cappella: faccio arrivare le due sculture da Palermo, ti presto la mia, ricompongo la pala d'altare e tu vieni a fare il tuo vero matrimonio a Possagno». Ecco, quello sarà il momento delle celebrazioni canoviane, consentendo a Berlusconi di sposarsi a Possagno dentro le sculture che gli hanno portato via.
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Siamo nel 1815, questa è l'evoluzione della stele, dove inizialmente, come nella Stele Falier o in quella Emo, la donna sta seduta davanti alla colonna. Qui invece si alza e ritrova un'intimità abbracciando il cenere muto, cioè il vaso dentro cui ci sono le ceneri del marito, e nell'altra stele, in questo rapporto fra madre e figlia, abbracciando il busto della figlia scolpita, e la figlia si butta, come fosse una delle figure femminili di Niccolò dell'Arca, con un pathos molto più controllato, rispetto a quelle, ma certo molto forte, verso la madre, la abbraccia, alla colonna dove l'amorino funebre sta piangendo.
L'evoluzione è di assoluto classicismo, il più alto di Canova, dopo quello delle Tre Grazie, nel tema della stele funeraria. Il tema funerario diventa un tema di vita, di presenza femminile che manifesta gli affetti. Quello che è toccato lo dico senza pudore, pensando ai miei genitori in quel bel film fatto da Pupi Avati sulla mia famiglia, Lei mi parla ancora, dal libro di mio padre scritto a novantacinque anni, tardissimo scrittore, in cui parla con mia madre dopo la sua morte come se fosse ancora viva. Questo dialogo, questa corrispondenza d'amorosi sensi, questo rapporto con i morti, è una forte espressione di vita, e Canova lo rappresenta, nobilmente, qui. Dal punto di vista del sentimento che questa concezione esprime possiamo rileggere almeno qualche stralcio dei Sepolcri di Ugo Foscolo, che parla appunto del rapporto fra i vivi e i morti. Un rapporto che trascina verso la vita i morti, non noi verso la morte. «Celeste è questa/ corrispondenza d'amorosi sensi,/ Celeste dote è negli umani; e spesso/ Per lei si vive con l'amico estinto/ E l'estinto con noi, se pia la terra/ Che lo raccolse infante e lo nutriva,/ Nel suo grembo materno ultimo asilo/ Porgendo, sacre le reliquie renda/ Dall'insultar de' nembi e dal profano/ Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,/ E di fiori odorata arbore amica/ Le ceneri di molli ombre consoli».
Foscolo interpreta perfettamente lo spirito delle stele in cui Canova sublima il rapporto fra i vivi e i morti. È il suo momento più alto, quello appunto delle Tre Grazie, quello della Ebe, quello della Pace di Kiev, che oggi è a Kiev, nel Museo nazionale della città ucraina, minacciata dai bombardamenti. È questa, un'opera un po' rigida, non una delle più attraenti di Canova. L'idea delle ali contraddistingue il tema come la pace o la vittoria, in questo caso romana, al Capitolium di Brescia. È una visione composta, concepita nello stesso 1812 per un conte russo che amava Canova e amava anche Napoleone. Dimenticando che di lì a poco Napoleone avrebbe tentato di occupare la Russia facendo morire quattrocentomila uomini. La storia ritorna: quello che oggi fa Putin con l'Ucraina tentò di farlo con la Russia, a suo danno, il potente Napoleone, per poi finire nel 1815 con l'ingloriosa sconfitta, a Waterloo, e la conclusione della sua vicenda di grande conquistatore. Napoleone non conquistò la Russia, ma Canova, che aveva un rapporto controverso con lui, aveva concepito un gesso, conservato a Possagno, con la data settembre 1812, che è la prima idea, ma sostanzialmente definitiva, di questa scultura in marmo.
La Pace di Kiev è un esempio preclaro di diplomazia legata alla forza dell'arte. Quest'opera commissionata da Nikolaj Petrovic Rumjancev, viene immaginata da Canova, poi tutto si ferma perché Napoleone cerca di entrare in Russia, e quando ormai il committente muore nel 1816 la scultura arriva a San Pietroburgo. Tutto si è calmato, Napoleone non c'è più, e l'opera trionfa a Pietroburgo. Allora perché, se è in Russia, la chiamiamo «Pace di Kiev»? Perché l'allora presidente dell'Unione Sovietica, il tanto amato Nikita Krusciov, essendo ucraino, prese questa statua di Canova da San Pietroburgo e la portò a Kiev. E qui divenne pertanto la «Pace di Kiev». Essa è il segno della sintesi e dell'unione dei due mondi, non della divisione ma dello spirito comune. Oggi la «Pace di Kiev» non possiamo portarla, né a Bassano, né a Trento, né a Firenze, perché è nascosta, protetta con i sacchi per impedire che un bombardamento la distrugga. Anche l'arte, come le persone, si cancella con la violenza della guerra.
Nella singolare vicenda che ha toccato questa scultura, partita da Roma, arrivata a San Pietroburgo e poi atterrata a Kiev, si vede che le storie si intrecciano e le opere danno un senso diverso alla storia. Il suo gesso, dal museo di Possagno, è esposto oggi a Palazzo Vecchio su mia proposta e per volontà del sindaco di Firenze, città gemellata con Kiev.
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