Cashmere e sport L’uomo di Pitti si veste di buono

Nel primo giorno di sfilate vince l’etica. E la Polizia presta la sua pantera a una nuova linea di abiti

Daniela Fedi

da Firenze

Etica ed estetica devono viaggiare sullo stesso binario nel mondo della moda. È questo il messaggio lanciato da Pitti Immagine Uomo, la più importante rassegna dell’abbigliamento maschile che ieri a Firenze ha inaugurato l’edizione numero 70 con un’ospite davvero importante: Emma Bonino. «Non posso dire di conoscere il vostro settore però sto studiando e sono una signorina rapida, imparo in fretta» ha esordito il neoministro per il Commercio internazionale e le politiche europee. Subito dopo ha sparato una raffica di notizie su quel che intende fare per promuovere il prodotto italiano all’estero. «Visto che dovrò rivedere le linee guida dell’Istituto commercio estero sarà bene rivederci presto» ha concluso la Bonino.
Musica per le orecchie degli imprenditori presenti, una folla visto che a Pitti espongono 654 aziende per 825 marchi. «Il mercato deve essere free ma anche fair» ha dichiarato Paolo Zegna. Insomma bisogna vincere la battaglia del cosiddetto «made in...» ricordando che etichetta non significa piccola etica. «Speriamo si sbrighino perché stiamo perdendo credibilità: ci sono italiani che fanno fare in Cina, a prezzi cinesi, prodotti venduti poi come nostri solamente nel prezzo» ha commentato Aida Barni, presidente del maglificio toscano Annapurna che produce meraviglie in cashmere e altri nobili filati. L’ultima è la versione ecosostenibile dello shatoosh, lo scialle indiano caldissimo e talmente sottile da passare attraverso un anello, proibito dalla convenzione di Washington perché prodotto in pelo di ibek, animale in via d’estinzione. Invece con le fibre più lunghe e più fini del miglior cashmere si possono ottenere risultati molto simili: 80 km di filo diventano una maglia a maniche lunghe dal peso piuma di 70 grammi e senza mattanze. Una bella vittoria, anche se il goal migliore per ora è la doppietta rappresentata dalla mostra evento «Human Game. Vincitori e vinti» (alla stazione Leopolda fino al 21 luglio) e la sfilata di Roberto Cavalli ieri sera sul ponte Vecchio. «Usando lo sport come dispositivo per raccontare la società ti accorgi che il 50% della moda viene da qui» hanno detto Maria Luisa Frisa, Stefano Tonchi e Francesco Bonami, straordinari curatori di questa esposizione che riesce a rendere anche nell’allestimento l’urlo dei tifosi e l’adrenalina del gesto atletico grazie a una sorta di galleria del vento lunga 110 metri.
Qui son stati sistemati 200 manichini con altrettanti modelli di grandi firme della moda e dell’abbigliamento tecnico, opere d’arte, video installazioni e immagini indimenticabili: da quelle angosciose di Monaco ’72 a quella dei contestatori armati dei cartelli «Sport, not war». Qualcosa sta cambiando nel mondo della moda e infatti proprio ieri la Polizia di Stato ha concesso l’uso del nome e del simbolo della pantera per una nuova linea prodotta da Fin.esse. Parte del ricavato verrà devoluto alle famiglie dei poliziotti caduti in servizio, alle vittime di mafia o di atti terroristici.

Più inquietante l’esistenza di una linea «Mafiawear», ma proprio ieri sera a Firenze è stata festeggiata la nascita di Token, collezione ispirata agli eroi delle missioni umanitarie per rispondere con modelli speciali a domande sul colore del coraggio, sull’abito della bontà e sulla trama dell’altruismo.

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