Un castello d’indizi e un’arma da trovare

Anche l’esame del Dna su una probabile macchia di sangue è incompleto

nostro inviato a Erba (Como)
«Olindo Romano e sua moglie Rosa Bazzi, respingono ogni accusa, continuano a sostenere di non essere stati a Erba nel momento in cui veniva compiuta la strage. Le loro versioni collimano perfettamente. Si confrontano con una testimonianza dubbiosa anche se a tutte le domande hanno risposto in modo lucido e sereno. Per quanto si possa parlare di serenità nella situazione angosciante in cui si sono venuti a trovare». L'avvocato Troiano, legale dei vicini di casa di Raffaella Castagna, i coniugi di Erba, in carcere da lunedì sera con la pesantissima accusa di pluriomicidio, regala poche parole ai cronisti che lo cingono d'assedio, mentre si appresta a lasciare la cascina del delitto, dove ha assistito ai rilievi ieri dai carabinieri dei Ris nell'abitazione degli indagati. Per lui, come è ovvio, la partita è ancora aperta. Non ci sono mostri, non ci sono assassini da offrire alla gogna mediatica. Eppure già avant'ieri, mentre il netturbino tutto muscoli Olindo e sua moglie Rosa, la casalinga con l'ossessione della pulizia, venivano accompagnati al carcere Bassone di Como, il pool di magistrati che ha seguito dall'11 dicembre quest'indagine complessa, parlavano di «quadro probatorio articolato, eterogeneo e convergente». Mezze verità o mezze bugie dunque? Perplessità o certezze? Prove schiaccianti o soltanto indizi? Vediamo di riassumere ciò che è emerso fino a questo momento, cominciando dagli elementi che, secondo gli investigatori inchioderebbero i vicini di Raffaella.
L'alibi. I coniugi Romano hanno sempre sostenuto di aver trascorso in pizzeria la sera dell'11 dicembre. Dicono di aver raggiunto una pizzeria in centro a Como tra le 19 e le 19.30 cioè prima dell'ora della strage. Ma in realtà, secondo gli inquirenti, avrebbero raggiunto il locale, che dista una ventina di minuti da Erba, soltanto più tardi come si evincerebbe dallo scontrino di cassa. C’è poi il giallo della foto scattata con un telefono cellulare da un testimone intorno alle 21.30 la sera della strage. Vi appare un uomo di profilo somigliante a Romano davanti alla casa del delitto subito dopo l'arrivo dei vigili del fuoco. Un tg locale rivela, infatti, di aver intervistato quell’uomo. Assomiglia a Olindo, ma non è lui.
Il movente. Gli inquirenti non hanno dubbi: i Romano-Bazzi erano ossessionati dalla denuncia che Raffaella aveva fatto contro di loro e dal risarcimento di 5.000 euro che aveva chiesto in cambio del ritiro della querela per un litigio degenerato il 31 dicembre del 2005. D'altra parte le aggressioni verbali e le discussioni tra le due famiglie erano note al caseggiato e ai carabinieri. Olindo e la moglie avevano trasceso in più d'una occasione arrivando quel San Silvestro a scaraventare per terra Raffaella che aveva riportato contusioni per sette giorni di prognosi. Agli atti c'è la frase di Olindo Romano: «Se mi denunci te la farò pagare». Altre liti, altri insulti fino a che la sera dell'11 dicembre l'ennesima discussione. Ancora un particolare: dal giorno 12 dicembre Olindo Romano si è preso una settimana ferie dal lavoro. Perché?
Le prove. «Ho visto un uomo grande e grosso. Sembrava un diavolo, somigliava al mio vicino Olindo», ha detto il supertestimone Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto alla strage, appena ha cominciato a riprendersi. A indicare la pista dei vicini di casa sono stati soprattutto rilievi dei carabinieri del Ris di Parma su alcuni reperti trovati nell'appartamento a cui l'omicida aveva anche dato fuoco per cercare di cancellare tracce. In ogni caso materiale organico dal quale potrebbe venire, con la comparazione del Dna, la certezza della presenza in casa di Raffaella, di Olindo e di sua moglie. Si tratta di alcuni capelli cui si aggiungono le analisi in corso su una macchia di sangue che potrebbe appartenere a Rosa Bazzi. Ed ecco le perplessità cui potrebbe appigliarsi la difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi.
L'arma del delitto. Il misterioso oggetto contundente a forma di V con cui l'assassino o gli assassini avrebbe compiuto la strage non è ancora stato trovato.
Le prove. L'esame del Dna sull'alone di una probabile macchia di sangue trovata su un paio di jeans in casa Romano sarebbe forzatamente incompleto a causa del tempo e dei lavaggi. Come incompleta, per l'acqua versata dai vigili del fuoco al momento del loro intervento nell'appartamento di Raffaella e Azouz sarebbe l'impronta rilevata su un cuscino. Apparterrebbe a una donna, questo sembra certo, ma sulla base dei riscontri attuali non potrebbe attribuirsi con assoluta sicurezza a Rosa Bazzi.
Il movente. Ci sarebbero intercettazioni ambientali effettuate nella casa dei coniugi Romano in cui i due si ripetevano frasi d'angoscia per quel che era accaduto. Una su tutte, anche se in verità un po’ sibillina: «Speriamo che li trovino presto quegli assassini, qui c'è d'aver paura.

Perché non ce ne andiamo?». Per i compagni di lavoro di Olindo Romano poi, a cominciare dal suo capo squadra, Maurizio Lodato, Olindo sembra incapace di un delitto così efferato: «È un bonaccione, un tipo tranquillo e disponibile con tutti».

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