L'ultimo dell'anno. Il 1960 sta per finire, l'Italia è un pieno boom, ma sotto la crosta dell'ottimismo covano smarrimento e inquietudine. Siamo nel decennio in cui - come scriverà Pasolini - scompaiono le lucciole, un periodo in cui il vecchio ordine scricchiola. Emergono nuovi modelli culturali, ma c'è anche chi, controcorrente, sta ripensando il cattolicesimo e prova a metterlo a confronto con la contemporaneità.
Don Luigi Giussani, che nel 1954 ha fondato al liceo Berchet Gioventù Studentesca da cui poi nascerà Comunione e Liberazione, presenta il cristianesimo come un avvenimento, sottolinea la ragionevolezza della fede - in un mondo in cui il cattolicesimo è ridotto a una somma di precetti morali, se non moralistici - e sottolinea che la novità portata da Gesù Cristo può essere intercettata dentro la grande cornice dell'esperienza.
Una lezione in linea con la tradizione ma anche rivoluzionaria, tanto da suscitare qualche perplessità, poi superata, nell'arcivescovo Giovanni Battista Montini, in seguito papa Paolo VI che teme una deriva di matrice protestante e un io, misura di tutte le cose, che si ritagli una religiosità fai da te.
Ma Giussani, che nel 1960 ha 38 anni, sta con Roma e con la Chiesa, e non ha ha alcuna intenzione di tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla gerarchia e però il suo insegnamento è trasversale e coinvolgente, carico di suggestioni e di fascino anche per chi non frequenta o non frequenta più parrocchie e sagrestie.
Nel 1960, come ha raccontato il direttore della sede di Milano dell'Università Cattolica Mario Gatti nel corso di un convegno cui ha partecipato anche l'arcivescovo Mario Delpini, Giussani sta affinando il suo pensiero e sta rinnovando dal di dentro lo schema di un vecchio cattolicesimo un po' ripiegato su se stesso che fatica a comprendere quel triangolo fede-ragione-esperienza.
Forse lo capiscono meglio artisti e poeti, come Franco Loi, che ha riscoperto il dialetto milanese ed esprime una sensibilità religiosa, a tratti anarchica.
Eccoci dunque al 31 dicembre 1960. È proprio Loi, in un documento inedito custodito fra le sue carte alla Cattolica, a narrarci quella sorprendente cena. «Una sera - annota Loi in un brano fin qui mai pubblicato - forse l'ultimo dell'anno del 1960, preparammo una grande festa. Venne don Giussani e poi gli amici Trasanna e Tomiolo e Paolo e Ceci e tanti altri amici di allora». Per la cronaca, Giulio Trasanna era uno scrittore, Eugenio Tomiolo un pittore e incisore.
Dunque, don Luigi, insegnante di religione al Berchet, è perfettamente a suo agio in quell'ambiente non certo ortodosso. Ma Giussani non ama l'etichetta, semmai vuole ricongiungere il cielo con la terra, o meglio far capire che il cielo non è un'astrazione ma la nostra verità e che questa verità comincia qui in terra. «Ricordo - prosegue Loi - che verso mezzanotte spalancammo la finestra e invece del buio entrò la grande luce di Milano che festeggiava da tutte le case e da tutte le finestre la fine dell'anno. Scoppi di luce e gridi di gioia attraversavano come stelle la notte. Don Giussani mi venne vicino, mise un braccio attorno alle spalle e disse, guardando quelle luci nell'aria fredda: L'uomo è infinito».
Una frase che segna Loi. E che matura dentro di lui: «Quando nacque Stefano anch'io dissi qualcosa di simile. Ricordo che andai alla finestra quella stessa sera, e pensai: Qualcosa si è sciolto nell'infinità dei cieli. Quella luna lassù mi è testimone: nel mistero di noi è mutato il mondo».
Nel diario lo scrittore torna su quella notte: «Nessuno di loro ( dei suoi amici, n.d.r.) ha provato quello che ho pensato io quella notte, che i pensieri erano sensazioni e ho misurato il senso del mio coraggio e del mio amore per la verità. In realtà, di fronte a don Giussani sono stato chiamato dalla sua fede: io cerco, lui crede».
Insomma, i due si sentono compagni di viaggio sotto la volta, a tratti oscura, dell'esistenza. «Per lui - aggiunge Loi - ogni pensiero ha un suo posto - quello che si dice possedere una logica; per me ogni pensiero è osservazione e riflessione nel senso della ricerca». Don Giussani è amico di intellettuali e artisti, ma il nocciolo delle sue riflessioni, così impervie ma anche seducenti per l'uomo di oggi, è ancorato alla grande tradizione cristiana. E intorno al 1966 la sua marcia di avvicinamento alla Cattolica si completa. Il 25 gennaio 1966 scrive: «Sono molto lieto che la mia domanda come assistente a filosofia della religione sia stata accolta e ne ringrazio per la notificazione». Quell'incarico, come assistente volontario, é l'inizio di una collaborazione che andrà avanti quasi venticinque anni, fino al 1990.
Giussani insegnerà per lungo tempo introduzione alla teologia e il suo libro più celebre, Il senso religioso, formerà migliaia di studenti.
Sono le lezioni riproposte oggi nel podcast Il senso religioso.
Una pietra miliare della cultura ambrosiana del secondo Novecento e anche un documento di straordinaria attualità, come è emerso dall'ascolto nell'aula magna di Largo Gemelli di alcuni frammenti, commentati da monsignor Delpini, dall'avvocato Cesare Pozzoli, vicepresidente della Fraternità di Cl, dallo scrittore e giornalista Mario Calabresi e dalla neo giudice della Consulta, Antonella Sciarrone Alibrandi.
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