Catturato il Mengele iracheno Trasformava i down in kamikaze

È il medico che consegnò ad Al Qaida le disabili usate per la strage al mercato. Dubbi su altri quattro casi

Ora resta da chiedersi se ha potuto più la paura o più l’abiezione. Se è stata banale, smisurata viltà o raffinata, scellerata depravazione. Ma sono dettagli, fronzoli nell’orripilante ritratto della «bestia umana». Ora lo sappiamo, non era una fantasia figlia dell’orrore quotidiano iracheno. Il mercante di minorati, il dottor Mengele capace di accarezzare la testa di una donna down e consegnarla con un sorriso a chi sogna di trasformarla in bomba umana esiste per davvero. Ha un nome, un volto e, purtroppo, pure un titolo. I militari americani e le forze di sicurezza irachene vanno a prenderlo domenica mattina, lo cercano alla clinica psichiatrica dell’ospedale al-Rashad, nei quartieri orientali della capitale. Lui, l’essere accusato di aver messo a disposizione le due minorate mentali utilizzate come inconsapevoli kamikaze per seminar strage, venerdì 1 febbraio, tra la folla di due mercati, è seduto sulla poltrona del direttore. Il primario vero, il dottor Ibrahim Muhammad Agel non c’è più. L’hanno raccolto rantolante l’11 dicembre scorso, ferito a morte da due sicari mentre passeggiava nel quartiere di Mansour. Da allora, sostengono gli inquirenti, il suo numero due ne svolge le funzioni in combutta con i terroristi di Al Qaida.
Gli americani e le forze di sicurezza irachene acquisiscono le ultime certezze rovistando per tre ore tra gli archivi e i cassetti di quell’ufficio. Gli altri, i medici e i pazienti dell’Al Rashad, lo intuiscono non appena vedono il numero due del reparto uscire ammanettato tra i soldati. Quel medico diventato responsabile della clinica psichiatrica dopo l’assassinio del primario è la mente della tratta di minorati. Quel dottor Mengele iracheno avrebbe consegnato ai terroristi, azzardano gli investigatori, almeno sei creature inconsapevoli.
Per raccontare una storia che sembra uscita dalla penna di un Emile Zola della Mesopotamia bisogna ritornare a quell’11 dicembre quando il dottor Ibrahim Muhammed Agel rantola sull’asfalto di Al Mansour. Il dottor Aged lo sa, sta morendo per aver detto di no all’orrore. Sono andati da lui qualche giorno prima. Volevano le sue pazienti, chiedevano donne dal volto beota, ma felice, pretendevano ragazze al di sopra di ogni sospetto capaci di scivolare tra la compassione e il ridicolo, creature ignare ed innocenti da vestire con saio ed esplosivo. Lui scuoteva la testa, sconvolto, indignato: «Attento dottore – sussurravano loro - sbaglia a non aiutarci». Poi era venuto il turno del suo vice. Per qualcuno è stato lui a suggerire di eliminare il coscienzioso dottor Agel. Per qualcun altro la «bestia umana» è solo un don Abbondio qualsiasi, uno che «se il coraggio non ce l’ha non se lo può dare». Poi ci sono i fatti. Atroci, pesanti come pietre dell’inferno. Le due kamikaze del primo febbraio risultano assistite proprio dalla clinica psichiatrica del Rashad Hospital. I nomi di altri quattro minorati trasformati in bestie da soma per le bombe delle stragi sono negli stessi archivi. Tasselli e indizi saltati fuori dai casellari medici dell’Al Rashad fanno pure il paio con le note ritrovate nel covo di un capo alqaidista che raccomanda di arruolare medici e infermieri degli ospedali per eliminare apostati e infedeli ricoverati in corsia.
Ma in questo caso il terrore sanitario va ben oltre. Ad una delle due kamikaze del primo febbraio mettono in spalla uno zainetto colmo d’esplosivo e biglie d’acciaio. L’altra l’imprigionano in una guaina di tritolo. Le spingono tra la folla, premono il telecomando, le guardano consumarsi in una bolla di fuoco e sangue.

Cento cadaveri dilaniati, squartati, maciullati. In quel mare di morte sopravvive solo l’orrore sinistro, ma intatto di due teste mozzate di netto. Due volti di donne down. Due sguardi puntati sul medico maledetto dell’Al Rashad.

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