Da una cella di San Vittore truffava i parenti dei detenuti

Non ha nemmeno dovuto fare molta strada. In carcere era, e in carcere è rimasto. Perché, anche dietro le sbarre, si era dato da fare. Dalla sua cella di San Vittore, grazie a un telefonino che era riuscito a introdurre di nascosto nella casa circondariale, chiamava i familiari degli altri detenuti e - spacciandosi per dipendente del ministero - prometteva una scorciatoria per la scarcerazione in cambio di una mazzetta che veniva poi ritirata da una complice. Per questo, un keniota di 43 anni - nel frattempo trasferito in un penitenziario vicino a Siracusa - è stato arrestato con l’accusa di millantato credito, e indagato a piede libero per truffa.
L’inchiesta della sezione di polizia giudiziaria nasce dalla denuncia di una donna che stava per cadere nella trappola del finto funzionario pubblico, e che alla fine di agosto viene contattata dall’uomo. La proposta induce in tentazione: 600 euro per rimettere in libertà il marito. Qualche banconota, e San Vittore è un ricordo da lasciarsi alle spalle. In un primo momento, la signora accetta. Poi, fiuta l’aria di fregatura. Di fronte alla complice che deve ritirare la mazzetta, si insospettisce. Le chiede di mostrare il tesserino di riconoscimento, ma quella rifiuta. L’affare va a monte. E parte la querela.
Inizia così l’inchiesta della procura. Prima - attraverso i tabulati telefonici - vengono identificate le persone contattate dal keniota. In tutto una decina di persone che, di fronte al pubblico ministero Luigi Luzi, raccontano tutte la stessa storia: di avere parenti in carcere. Di aver ricevuto una telefonata da un tale che a volte si presentava come un dipendente del tribunale, a volte del ministero della Giustizia. Che quel tale garantiva scarcerazioni facili in cambio di tangenti che andavano dai 300 e ai 600 euro. E qualcuno ci è cascato. Nella foga del business, il truffatore prende pure qualche granchio. Come chiamare non un familiare, ma una vittima del detenuto. Tocca pure a una ragazza coinvolta in un caso di violenza sessuale e tentato omicidio. Qualcun altro risponde che sì, avrebbe voluto accettare. Ma che di denaro non ne ha abbastanza. Nessun problema. «Suo marito ha vinto la lotteria del carcere - dice a una donna - ora i soldi per farlo uscire li avete». Per risalire al truffatore, quindi, gli investigatori si concentrano sulla complice, che utilizza un telefono intestato a un’ignara 80enne. La rintracciano e alla fine la donna - 50 anni, moglie di un pregiudicato e incensurata - confessa, indicando il nome del keniota. Fine del gioco.
L’indagine, però, va avanti.

Gli agenti, a quel punto, riescono a ricostruire come il keniota (che girava nel carcere piuttosto liberamente, essendo il responsabile della biblioteca) riusciva a reperire i dati che gli servivano: nomi dei detenuti, numeri di telefono dei familiari (e a volte, per errore, delle vittime), ma anche i reati contestati, il giorno dell’arresto, le condanne. Un quadro completo. Una piccola miniera di informazioni ricavate rubando il quaderno di appunti che un prete di San Vittore compilava durante i suoi incontri con i reclusi.

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