Celotto: "È un po' come il feudalesimo. Guardate il 112"

"Certo, guardare l'elenco delle riforme, o dei tentativi di riforma, è avvilente: Cavour, De Sanctis, Giolitti e poi via via in un'interminabile sfilata nel corso del tempo. Cambiare la pubblica amministrazione è una fatica di Sisifo"

Celotto: "È un po' come il feudalesimo. Guardate il 112"

«Certo, guardare l'elenco delle riforme, o dei tentativi di riforma, è avvilente: Cavour, De Sanctis, Giolitti e poi via via in un'interminabile sfilata nel corso del tempo. Cambiare la pubblica amministrazione è una fatica di Sisifo». Alfonso Celotto (nella foto), è un costituzionalista, insegna all'Università Roma Tre, ma ha avuto anche esperienze come alto burocrate e capo di gabinetto di numerosi ministri (da Emma Bonino a Roberto Calderoli). «L'unica consolazione, chiamiamola così, è che il problema è antico come il mondo. L'Imperatore Giustiniano, che era Giustiniano, si propose di sfoltire leggi e funzionari pubblici. Diede l'incarico a Triboniano e Giovanni di Cappadocia. Tale fu la rivolta che alla fine fu costretto a sostituirli entrambi».

Per Rai Libri Celotto ha pubblicato da poco «È nato prima l'uomo o la carta bollata?», storie e racconti «di una repubblica fondata sulla burocrazia». «Adesso la speranza, ma forse, appunto, è una speranza, si chiama digitalizzazione. Io penso a una specie di Amazon della pubblica amministrazione, una app con cui poter parlare con tutti gli uffici del settore pubblico». Dal punto di vista tecnologico il progetto è probabilmente fattibile, ma gli ostacoli, nella migliore tradizione burocratica, appaiono a prima vista insormontabili. «Il problema si chiama feudalesimo», dice Celotto. «Ovvero la presenza di agguerriti centri di potere, ognuno gelosissimo delle proprie prerogative. Migliorare la situazione unificando le procedure significa togliere una fetta di potere a questo o a quello. Un rischio che i burocrati non possono correre».

L'esempio più concreto di «amministrazione feudale», dice Celotto, è il 112, il numero unico di emergenza. La Ue ci chiede di farlo dagli anni '90 del secolo scorso, e ci ha anche multato per i ritardi.

«A oggi in certe regioni è attivo, in altre no. E anche nella migliore delle ipotesi la telefonata arriva alla centrale unica di risposta. Da lì, capita l'esigenza, l'allarme viene smistato al centralino competente. Di fatto è solo una duplicazione».

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