Champions, Ancelotti: "Euforia? Questa è una festa, non un funerale"

Berlusconi telefona a Inzaghi che sarà in campo dal 1': "Mi ha caricato". Giocherà anche Maldini. Galliani ricorda tutti i trionfi rossoneri 

Champions, Ancelotti: "Euforia? 
Questa è una festa, non un funerale"

Atene - Forse ha ragione Carlo Ancelotti nel suggerire, serafico, lungo la rotta della felicità, al vecchio cronista. «Fossi in voi titolerei gli articoli così: grazie Milan». Forse ha ragione perché è giusto voltarsi, per un attimo soltanto, e rievocare il cammino del Milan e del calcio italiano negli ultimi mesi per capire e pesare l’impresa qui raggiunta. «Come dirigente dell’era Berlusconi sono molto orgoglioso di questa ottava finale di coppa Campioni» detta alla partenza da Malpensa Adriano Galliani e ha, piegato nella cartella datata, un foglietto bianco con gli appunti e la graduatoria del calcio italiano. Negli ultimi venti anni, infatti, la contabilità è la seguente: 8 Milan, 4 Juventus, 3 Real e Barcellona, 1 Sampdoria. «E l’Inter?» gli chiedono per provocare una risposta acida cui Galliani rinuncia volentieri nella circostanza. «Questa è la classifica e l’altra che conta è quella che riguarda il totale dei trofei vinti: con il Real siamo 19 pari» aggiunge il vice-Berlusconi che ha, come si dice, il cuore nello zucchero e non ha alcuna voglia di intossicare questi giorni che scandiscono l’arrivo dell’undicesima finale della storia calcistica del Milan con veleni, polemiche, ripicche.

Forse ha ragione Carlo Ancelotti che ha l’aria del capo-classe alle prese con la gita di fine anno, tra volti amici, sguardi riservati, tutta la grande famiglia rossonera riunita in un charter da 150 posti, parenti e amici al seguito, Cafu il più gettonato, con 8 parenti di primo e secondo grado sul charter volato nel primo pomeriggio di ieri da Malpensa ad Atene. «Troppa euforia?» chiede un cronista all’allenatore che condivide con Sacchi e Capello, i suoi due allenatori del tempo del Milan, il terzo periodo d’oro, 3 finali in 5 anni, uno scudetto, una supercoppa d’Europa e una coppa Italia. «Dobbiamo essere allegri, andiamo a una festa mica a un funerale » eccepisce e probabilmente riesce a farsi strada anche tra di noi, patiti della vittoria a ogni costo, la dittatura del risultato insomma, che contano altre perfomance, tipo questa, nuda e cruda, al momento, una finalissima di Champions league nel passato solo accarezzata dalla Juve (2003 a Manchester) e mai inseguita da altri club.

Con questi sentimenti scolpiti bene nell’animo, il Milan sbarca ad Atene che fu il crocevia della felicità ai tempi di Capello (4 a 0 sul Barcellona presuntuoso di Cruyff) e regalò una grande delusione alla Juve del Trap e di Boniperti con quella fucilata di Magath finita nell’angolo della porta difesa da Dino Zoff. «C’ero anch’io con Braida in quella occasione» rievoca Adriano Galliani, all’epoca dirigente del calcio Monza. Chi gli avrebbe detto che un giorno sarebbe sbarcato alla guida dell’armata calcistica berlusconiana capace persino di dividere il tifo della capitale greca dove però pesa ancora l’eliminazione dell’Aek per colpa (indiretta) del Milan.

Sono in quattro milioni, tra Atene e il Pireo. Ci dicono che sono a metà per gli inglesi, a metà per i rossoneri, grazie a Ronaldo, a Kakà, al sorriso disteso di Ancelotti che lascia al suo vice-presidente vicario il compito di fare una classifica delle finali. Vedremo. «L’ultima è stata la più tormentata» sostiene. Forse perché partita dai processi di moggiopoli, forse perché partita dal preliminare con la Stella Rossa di Belgrado domata da un paio di sigilli di SuperPippo Inzaghi. Ah, già, Inzaghi. Ieri, alle 13 in punto, prima di saltare sul torpedone per Malpensa, ha ricevuto uno squillo inatteso. Al suo cellulare la voce squillante del presidente Silvio Berlusconi. «Mi ha dato la carica» il particolare fornito ai cronisti e che tiene conto dell’intervento presidenziale fatto apposta per evitare equivoci. Gioca Pippo, naturalmente. E con lui gioca anche Maldini. «Si giocasse ora Paolo sarebbe della partita» è la conferma solenne giunta dall’allenatore che non ha dubbio alcuno perché al Milan si ragiona anche col cuore in circostanze del genere.

E a nessuno importa quel che accade da altre parti. Durante il viaggio Seedorf stringe cento mani e saluta cento persone. Hanno tutti una gran voglia di divertirsi. Forse perché sanno che comunque vada non sarà un funerale.

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