C’è chi afferma che in Italia non c’è la libertà di stampa, e chi invece assicura che in nessun Paese quanto in Italia i giornalisti sono liberi di dire qualsiasi cosa vogliano. Qualcuno dovrebbe, allora, spiegare agli italiani chi sia stato a imporre una ferrea censura su tutto quanto riguarda gli avvenimenti politici dell’Unione europea, avvenimenti importantissimi per tutti noi, quale per esempio la ratifica del Trattato di Lisbona, appeso al filo del referendum che si svolge oggi in Irlanda. Bisogna riconoscere che questo silenzio insospettisce, e anzi suscita un senso d’angoscia in quanto non si riesce a trovarne una spiegazione. Prima di tutto perché vi si attengono le fonti di informazione di ogni parte politica. Chi ha ordinato di non parlarne, è dunque sopra i partiti? E perché non se ne deve parlare?
Lo Stato italiano l’ha già ratificato, senza permettere neanche la più piccola discussione, basandosi sulla norma più antidemocratica della nostra Costituzione, quella che sottrae alla volontà dei cittadini la «politica estera», anche se, trattandosi in realtà della Costituzione europea trasformata in trattato, definirlo politica estera è già di per sé una bella truffa. C’è da aggiungere che ci si stupisce del silenzio dell’opposizione davanti a un atto del governo berlusconiano, visto l’abituale rumoroso dissenso per ogni sua decisione. Cosa ne dice Santoro, ex parlamentare europeo, di questo silenzio? Noi abbiamo diritto di sapere, vogliamo sapere, chi gli ha imposto di non parlarne. Chi lo ha imposto a lui e a tutti gli altri conduttori di dibattiti televisivi; e perché.
Gli irlandesi, che hanno già una volta bocciato il Trattato con un referendum, sono chiamati, a poco più di un anno di distanza, a un secondo referendum. Il risultato è incerto, sebbene i capi dell’Ue abbiano approfittato della crisi economica, che ha colpito molto duramente anche Dublino, per elargirgli abbondanti aiuti (soldi nostri, manco a dirlo) nell’intento di indurre gli irlandesi a più miti consigli. Del resto, la tattica di «comprare» l’adesione all’Ue con regalie di ogni genere è ormai diventata prassi costante, in quanto è stata usata soprattutto per convincere gli Stati dell’Est, i più riottosi, dopo le terribili esperienze dell’impero sovietico, a perdere nuovamente la propria indipendenza. Tuttavia, anche se il Trattato superasse l’esame irlandese, non sarebbe in condizione di diventare operante perché debbono ancora provvedere alla ratifica la Repubblica Ceca, la Polonia e una regione autonoma della Finlandia, l’arcipelago Aland.
Il presidente ceco, Vaclav Klaus, è da sempre contrario all’Ue (non per nulla è un poeta) e non intende controfirmare il trattato, già approvato dal Parlamento, senza conoscere prima la decisione degli irlandesi. La stessa cosa vale per il presidente polacco, Lech Kaczynski. A Praga gli oppositori hanno tentato in tutti i modi di impedire la messa in opera del Trattato, inoltrando anche ricorso alla Corte costituzionale. Ma le Corti costituzionali dei vari Paesi cui si sono appellati negli ultimi anni molti degli oppositori all’euro e all’unificazione europea (prima di tutto i tedeschi), non hanno mai accolto le eccezioni presentate: l’Unione europea è un Moloch, ideato e costruito dai Potenti al di fuori di qualsiasi norma giuridica preesistente, e nessuno si arrischia a mettere in dubbio, prima ancora che la legittimità, la logica che la sostiene. Come si spiegherebbe, altrimenti, la furia assurda di coloro che, di fronte al rifiuto di Klaus di apporre la propria firma, minacciano di fargli causa per «scarsa produttività»?
Di fronte a una situazione così complessa non si può non chiedersi come mai un trattato tanto importante agli occhi dei governanti da farli quasi impazzire, sembri non esserlo affatto per i responsabili dell’informazione. Purtroppo il silenzio ha delle buone motivazioni in quanto nasconde, insieme al trasferimento a stranieri della maggior parte della sovranità e dell’indipendenza della nazione, anche norme che non esistono nelle Costituzioni degli Stati europei e in primis in quella italiana. Una fra tutte basterà come esempio: «la condanna a morte in caso di guerra o di pericolo di guerra, e l’uccisione di cittadini per impedire l’insorgenza di ribellioni o tumulti».
Si tratta di clausole che fanno ben capire una cosa: l’Unione europea ha preso le misure per governare un impero in cui ci si aspetta, dalla somma di tanti popoli diversi unificati a tavolino, l’inevitabile ribellione e lo scoppio di gravissimi conflitti interni. Ha inizio, dunque, così l’ennesimo impero tirannico in Europa.
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