Chi sono io, senza un rettangolo blu?

A tredici anni ci provai con Guido: «Vieni a fare un bagno da me?». Lui preferì andare da Giacomo: aveva l’olimpionica in casa. Fu la prima crisi esistenziale

Era il 1988, quando io, tredicenne, a bordo piscina (tre colori dal celeste al blu, dall’acqua bassa all’acqua alta), cercavo di sedurre Guido Brera, un diciassettenne romano che avevo invitato a fare un tuffo da me con l’intento preciso di adescarlo con la mia piscina, i miei possedimenti, i miei soldi.
«Ah - sospiravo adagiata sul materassino a forma di coccodrillo - beato te che non hai la piscina a casa, a me ormai, ad avercela dalla nascita, ha un po’ stufato».
Sì, la mia era la villa più bella dell’Argentario. All’epoca eravamo in pochi ad avere la piscina. La mia inoltre era dotata di un corridoio sotterraneo da cui, attraverso gli oblò, potevi fotografarmi sott’acqua.
Ah, il mio magnifico regno! Era normale che io mi rifiutassi di mettere piede al mare, in mezzo alla gente comune accalcata, alle urla dei bambini, alle risate sguaiate.
Ma mia madre, donna rozza e di origini popolari, non riusciva a capirlo, vedendo nella mia solitudine una forma di depressione («Devi venire in spiaggia come tutti gli altri bambini! Finisce che ti ammali». «Mamma, io sono diversa dagli altri. Io sono una piccola miliardaria, rassegnati e allontanati che mi copri il sole»).
Mio padre era chirurgo dell’ospedale di Orbetello e io, all’epoca, non essendomi mai spinta oltre Grosseto, credevo di essere ricchissima: l’Athina Onassis della Maremma.
Ma proprio quell’estate era in agguato per me il primo grande trauma dell’adolescenza.
«Guido, nel pomeriggio puoi venire a fare un tuffo», concessi.
«No. Vado da Giacomo Carenza».
«E chi è, scusa?».
Casa Carenza era ad Ansedonia: una villa di due piani con sala biliardo e taverna. Ma quello che più mi ferì era in basso, nella terrazza a livello mare: una piscina olimpionica a quattro colori - dal celeste chiaro al blu intenso - con trampolino, scalinata e isoletta centrale con palma!
La vista mi si oscurò. Domande esistenziali mi affollarono la mente: chi sono io? Qual è il mio posto nel mondo? Posso ancora ritenermi l’Athina Onassis della Maremma?
Eccomi lì, tredicenne, di fronte alla prima importante presa di coscienza. Io non ero unica, forse non ero neanche speciale.
Con grandissima dignità sorrisi a Giacomo Carenza e interiormente dissi: «Ragazzo, divertiti pure finché puoi, perché un giorno questa casa sarà mia».
Cosa è successo dopo? Guido Brera non mi ha mai baciata e io non sono riuscita a comprarmi casa Carenza. Nel frattempo all’Argentario sono spuntate tantissime piscine e a casa mia, ogni estate, si ripete la stessa scena: «Vieni al mare con noi?» chiede mia madre. «No, preferisco rimanere nella mia solitudine a scrivere».
«Ma dài, non ti devi vergognare a metterti in costume, va bene, sei grassa, ma che male c'è?».
Io la guardo con disprezzo. «Vai pure, semplice donna del popolo, io sono un’intellettuale, io mi macero nel mio dolore di scrittrice che tu non puoi capire!».
In fondo però - rifletto - ha ragione lei, povera donna semplice, ad andare al mare. La piscina ormai non è più privilegio di pochi. E poi il cloro è nocivo.
Ecco perché quest’inverno mi sono fatta costruire una seconda piscina - circolare, otto metri di diametro - biologica con dieci ninfee in superficie (nove perché da tre giorni una mi è morta).
Il dépliant diceva: «Il bio-lago (piscina biologica) vive nell’equilibrio dell’ambiente, che per tanto deve essere rispettato. Si consigliano tutti coloro che vi faranno il bagno di non entrare in acqua con nessun tipo di crema solare o altro fluido. Le piante acquatiche ne soffrirebbero irrimediabilmente. Sono le piante che ossigenano e depurano l’acqua che è priva di cloro o altre sostanze. Proprio perché biologico c’è l’eventualità che il laghetto possa "ospitare" qualche "amico": potrete trovare qualche piccolo insetto, ma sappiate che sono tutte specie di animali non nocivi!».
Mi sono informata: in tutta Italia siamo solo in tre ad averla. Non mi hanno riferito i nomi degli altri, ma ho fatto delle ipotesi: io, Tronchetti Provera, Montezemolo. Oppure: io, Moratti, Romiti. Oppure: io, De Benedetti, Mieli.
Domani parto. E m’immagino laggiù, sotto il sole, a bordo piscina con un ospite molto speciale (ho letto su «Dagospia» che ha casa a Capalbio): «Umberto carissimo, a volte la vita di noi scrittori non è semplice. Anche a te è capitato di essere incompreso agli inizi? Mi sbaglio o Il Nome della rosa ebbe proprio la medesima accoglienza di Adelmo, torna da me? Ah Umberto, che bello poterci scambiare opinioni fra noi persone alla pari, sai, prima mi sentivo così sola, qui nelle mie piscine, dài, non fare il ritroso, rilassati fra le ninfee».
«Tu non vai al mare perché ti vergogni a metterti in costume, vero?».


Avvertenza: nonostante anche i personaggi di fantasia - l’Umberto Eco in vacanza - mi si rivoltino contro, io continuerò a stare solo in piscina e non scendere mai, dico mai, in spiaggia.
I motivi di questa mia scelta sono nobili.

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