Sindaco Chiamparino, lei si
è dato una settimana per decidere
se candidarsi alla guida del
Pd. Come spiega il grande pressing
su di lei?
«Col fatto che nel Pd c’è una
grande sofferenza. E quello che a
me sembra il rischio peggiore: la
tentazione di mollare, la disaffezione.
C’è poi un gran condizionamento
mediatico sul mitico terzo
uomo, che ha alimentato la sollecitazione
nei miei confronti. Il Pd è
in un momento critico, il progetto
andrebbe ripreso dalle fondamenta
e ci vorrebbe tempo per discuterne.
Invece siamo davanti a
un’accelerazione. Per questo pensavo
servisse un rinvio».
Lei dice che prima di scegliere
vuol valutare i programmi dei
due candidati in campo. Conoscendoli
bene entrambi, crede
che Bersani e Franceschini siano
davvero opzioni alternative?
«Onestamente non mi pare,
sembrano più complementari
che contrapposti. Per questo voglio
vedere cosa propongono sui
temi concreti: laicità, politica economica,
forma partito. Se le loro
risposte sono le mie, candidarmi
non ha senso».
Lei insiste molto sulla laicità. È
un tema su cui avete deluso gli
elettori?
«Le segnalo un dato: a Torino i
Radicali hanno preso il 5%. Credo
che abbiano pescato nel nostro
elettorato metropolitano proprio
perché, su questo, danno risposte
più chiare. Il Pd non le ha date, sul
caso Englaro ma anche su questioni
più semplici come le coppie di
fatto».
Ora tutti hanno scoperto che lo
statuto Pd è un pasticcioe che c’è
il rischio di impasse. Lo teme?
«Il rischio c’è. Ma ora è difficile
trovarealtre soluzioni. Non contesto le
primarie, un momento di verifica
delle volontà degli elettori è
giusto. Piuttosto sono perplesso
perché ci siamo impiccati a date
prestabilite».
Il prossimo segretario Pd sarà anche
il candidato premier?
«Non può essere scontato. In un
quadro bipolare le alleanze sono
necessarie. Buon senso vorrebbe
che il maggior partito fosse quello che esprime la premiership,
ma
se si fanno primarie di coalizione
non si può impedire a leader di
altri partiti di candidarsi».
Non teme l’effetto Veltroni, che
ha perso Roma, se deciderà di
candidarsi?
«Il contesto è diverso. E poi Walter
ha fatto per quasi un anno il
segretario e insieme il sindaco,
prima della crisi di governo. Ma se
decidessi di candidarmi valuterei
tuttele incompatibilità, sostanziali
e politiche, compreso il mio futuro
ruolo di presidente dell’Anci
che prevede un’investitura bipartisan.
Per questo dico che se non
c’è un fatto straordinario che determini
la mia candidatura, i vincoli
oggettivi prevarranno».
Quale fatto straordinario?
«Ad esempio che cambi qualcosa
di significativo negli schieramenti
in campo ora».
Non teme che, chiunque sia il segretario
Pd, dopo le regionali e
un’eventuale sconfitta ripartirebbe
il logoramento del leader?
«Intanto non è detto che ci sia
una sconfitta. Certo, partiamo
molto alti. Ma se tenessimo, come
è possibile, realtà importanti come
il Piemonte e una parte del
Sud un segnale positivo ci sarebbe.
Anche ammettendo una sconfitta,
far ripartire la girandola dei
leader metterebbe a repentaglio
lo stesso Pd. La stabilità della leadership è un elemento
di forza del
centrodestra. Se continuiamo a
cambiare allenatore finiamo in serie
B come il Torino».
Pensa anche lei che il declino di
Berlusconi sia iniziato, come dice
Enrico Letta?
«C’è un appannamento indubbio
del premier. Ma se qualcuno
nel Pd rincorre l’idea che questo
possa determinare a breve una crisi
di governo si illude. Oltretutto,
se continua a non esserci un’azione
incisiva dell’opposizione, che
faccia leva non solo sui peccati privati
del premier ma soprattutto su
come governa, il centrodestra
non si sfarinerà certo da solo».
Lei boccia il governo su tutta la linea?
«Qualcosa di buono c’è: dagli incentivi per l’auto ai messaggi di Brunetta sul maggior rigore nel lavoro pubblico. Ma rispetto alle dimensioni della crisi, le risposte sono molto al di sotto delle necessità, e le riforme strutturali latitano ».
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