Ciancimino, ultima capriola: «Il Cav? Una vittima»

RomaSi fa fatica a stargli dietro, a seguire un filo logico che dovrebbe in qualche modo legare le sue dichiarazioni. Perché da una parte pendono le pesanti accuse a Marcello Dell’Utri - senza contare la genesi fornita su Forza Italia («Mio padre mi spiegò che era il frutto della cosiddetta trattativa tra Stato e mafia»), che spinge a retrodatare agli anni delle stragi la nascita ufficiale del partito, avvenuta nel ’94 - dall’altra c’è una reiterata presa d’atto, che prende spunto dalle parole di papà Vito: Silvio Berlusconi «è la più grossa vittima della mafia».
Un concetto chiave, rilanciato ieri da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, ma per nulla inedito. Basta rileggere alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a Gian Marco Chiocci, pubblicata sul Giornale lo scorso 12 settembre: «Io a Silvio Berlusconi mafioso non ci credo. Né papà mi ha mai detto qualcosa al riguardo. Glielo chiesi tre o quattro volte, e rispose sempre allo stesso modo: “È fuori da tutto”. Per certo so che Berlusconi era piuttosto una vittima della mafia. Forse qualcuno intorno a lui, magari del suo più stretto entourage, può aver avuto contatti con Cosa Nostra millantando amicizie e mandati del Cavaliere, muovendosi in suo nome e per suo conto, senza che Berlusconi lo sapesse...».
Più o meno, è quanto rimarca pure adesso Ciancimino jr. Lo fa a Roma, nella sede della Fnsi - presentando il libro “Don Vito”, scritto insieme al giornalista della Stampa Francesco La Licata - dove è lesto a premettere: «Sul punto si è fatta molta confusione, io non ho mai cambiato la versione dei fatti». Eccola allora: «Quel giorno eravamo a Rebibbia, era il 22 luglio 1998 e io feci vedere a papà il giornale che riportava le parole di Bossi, secondo cui Berlusconi “è mafioso, viene a Milano con i soldi della mafia”». Così, «mio padre difese Berlusconi, e lo fece anche successivamente». Ed «io non ho mai detto che Berlusconi è mafioso», ma «ho parlato di soggetti vicini a lui a conoscenza di situazioni antecedenti alla sua discesa in campo tali da indirizzarne le scelte. Ripeto: non ho mai sentito dire a mio padre che Berlusconi conoscesse o frequentasse mafiosi, ha sempre detto che persone si erano accreditate con la forza alla sua corte per deciderne o condizionarne le scelte».
Ciancimino jr, teste chiave nel processo al generale del Ros Mario Mori (giudicato poco attendibile però dai giudici d’appello nel processo Dell’Utri), e che avrebbe rivelato ai pm di Palermo e Caltanissetta i risvolti che starebbero dietro la presunta trattativa tra Stato e mafia, torna a rilanciare i sospetti sulla morte del padre, avvenuta il 19 novembre del 2002: «Ho la certezza che sia stato ucciso».

Poi allarga il tiro: «Io so chi è il cosiddetto “signor Franco”, l’uomo dei servizi sempre vicino a mio padre, ma è rischioso raccontare cose di cui non si hanno supporti cartacei». In ogni caso, fa sapere: «Mi sono stati sottoposti diversi album fotografici e ho identificato dei personaggi a lui vicini, ma non posso dire di più. Solo che sono stati fatti molti passi avanti».

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