Si erano dati appuntamento in cinquecentomila. Si sono ritrovati in quattro gatti. Si sono sciolti come lacrime nella pioggia. Negli auspici dei fantasiosi leader di Hamas doveva essere la replica della beffa di Rafah. Doveva incominciare con unoceanica catena umana capace di far risuonare lungo i 40 chilometri della frontiera con Israele la rabbia del popolo di Gaza. Poteva, o doveva, trasformarsi in una marea di cuori in subbuglio pronta, ad un solo grido, a calpestare e travolgere il confine israeliano. Tutto si è risolto con lumida e sfilacciata passeggiata di qualche migliaio di scolaretti spinti da mamme pasionarie e papà integralisti a sgambettare nel fango tra bandiere appassite, slogan scordati, striscioni inzuppati. Gli anelli della catena in carne ed ossa convocata da Hamas non hanno, insomma, oltrepassato la periferia di Beit Hanoun, la cittadella ad uno sputo dal valico settentrionale di Eretz. È stato un vero buco nellacqua, ma è stato, sicuramente, assai meglio per tutti. Meglio per gli israeliani, ben poco entusiasti di fermare lipotetica masnada ordinando fuoco a volontà a cecchini, artiglieria e reparti in armi schierati alla frontiera. Meglio ancora per i preoccupati civili palestinesi poco elettrizzati dallidea doffrire petto e figli per travolgere la cortina di ferro israeliana. Così quel gelido sciacquone, quella spruzzata di vento e pioggia si è rivelata un regalo del Signore, una manna provvidenziale capaci di surgelare anche la rabbia più esagitata e di giustificare la più pavida voglia di casa, coperte e tepore.
Del resto la richiesta di Hamas sembrava stavolta più unordalia che una manifestazione, una temeraria sfida al buon senso capace di trasformare la rivolta contro il blocco della Striscia in un suicidio di massa. Alla frontiera con lEgitto non era certo andata così. Lì gli incursori di Hamas non si eran certo fatti annunciare, erano sgusciati nella notte e avevano trasformato in un colabrodo la frontiera dacciaio. Lì la folla palestinese aveva dato il via alla sfrenata transumanza solo dopo aver sondato la determinazione degli sparuti e male armati fantaccini egiziani.
Stavolta la faccenda era molto più seria, molto più perigliosa. La grande manifestazione convocata dai vertici di Hamas per emozionare il mondo e richiamare lattenzione sul blocco di Gaza era preannunciata da giorni e agitata da quelle voci sulla possibile marcia verso il confine. Israele non era rimasta a guardare. Domenica notte aveva spostato lungo il perimetro della Striscia una batteria dartiglieria addestrata a creare una barriera di esplosioni deterrenti davanti alla marea umana in marcia. Poi, spiegava un canale della televisione israeliana, sarebbe stato il turno dei cecchini pronti a sparare alle gambe dei capipopolo.
Lesercito era, insomma, «pronto a fare tutto quanto si doveva fare» come spiegava, senza giri di parole, il vice ministro della difesa Matan Vilnai. «Spero proprio che alla fine capiscano perchè noi siamo già dispiegati e non permetteremo certo - aveva aggiunto - il ripetersi di quanto successo fa al confine con lEgitto».
Il plumbeo impasto di minacce e pioggia decide sin dallinizio la sorte della partita. Alle dieci di mattina, soltanto qualche migliaio di mamme e bambini raggiungono i punti di raccolta fissati dai capi di Hamas, urlacchiano qualche slogan, si lasciano tranquillamente sconfiggere da pioggia e gelo. A fermare il restante migliaio di cuor di leone pronti a scagliarsi contro le muraglie in cemento armato del valico di Eretz ci pensa la stessa polizia di Hamas. Qualche decina di ragazzotti così abili da aggirare il blocco finisce inevitabilmente nelle braccia dei soldati nemici e conclude la giornata in un carcere israeliano. Il popolo di Gaza salvato stavolta dalla pioggia rischia però di non sfuggire alla rabbia dIsraele.
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