“Indiana Jones e il Quadrante del Destino”, un epilogo senza magia

La mancanza di Spielberg alla regia si sente. Il film è un lungo assemblaggio di scene action ambientate in giro per il globo. Harrison Ford però vale da solo la visione

“Indiana Jones e il Quadrante del Destino”, un epilogo senza magia
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Indiana Jones e il Quadrante del Destino”, il quinto capitolo di una saga che è parte della storia del cinema, arriva a 15 anni di distanza dal precedente e svarca nelle sale dopo l'anteprima mondiale al Festival di Cannes. Harrison Ford ha oramai compiuto ottant’anni e si congeda dall’iconico personaggio dell’archeologo avventuriero in modo magistrale. Peccato il film non sia alla sua altezza. Più di tutto si sente la mancanza, dietro la macchina da presa, di Steven Spielberg. James Mangold (Le Mans ‘66 – La grande sfida, Logan – The Wolverine), il suo sostituto, opta per una regia funzionale regalando un film “alla Indiana Jones” più che un nuovo capitolo di una saga di cui sa conservare lo spirito ma non la magia.

Per fortuna l’accoppiata John Williams-Harrison Ford fa ancora innamorare. Sulle note iconiche del primo, il secondo torna a sfoderare il sorriso malandrino. Indiana Jones non è più lo spavaldo di una volta ma di sicuro è ancora indomito e pronto a indossare il cappello e la frusta per un’ultima avventura, pazienza se si rivelerà uno stanco addio.

“Indiana Jones e il Quadrante del Destino” si apre con un lungo flashback nella Seconda Guerra Mondiale. L’archeologo è su un treno in corsa, con l'amico Basil Shaw (Toby Jones), alla ricerca di un tesoro rubato dai nazisti. Dopo la sequenza introduttiva, ritroviamo Indy nei panni del professor Jones, tre decenni dopo, nel 1969. Ha appeso l’avventura al chiodo perché c’è un tempo per tutto, lui è invecchiato e il mondo è decisamente cambiato: si festeggia l’allunaggio, lo sguardo è verso i misteri del cielo e non più verso quelli sepolti nel corso della Storia. Il nostro eroe è ormai l’ombra di se stesso, un docente appena andato in pensione, depresso dopo la morte del figlio e rimasto solo dopo l’abbandono della moglie. A cambiare il corso di quello che sembra un conclamato declino, c’è l’arrivo di Helena (Phoebe Waller-Bridge), figlia di Basil e figlioccia di Indiana. Giovane, colta e spregiudicata, ha ereditato dal padre l’interesse per l’antichità e l’ha rivisitato in termini illegali, diventando una contrabbandiera di reliquie. La donna è in cerca del reperto che ha portato il genitore alla follia: l’Antikythera, un congegno inventato da Archimede ai tempi in cui Siracusa era sotto l’assedio dei romani e che pare essere in grado di individuare varchi temporali. In teoria entrarne in possesso può significare cambiare il corso della Storia, ecco quindi che sulle tracce del manufatto c’è anche una vecchia conoscenza di Indy, (presente nel prologo), ovvero un ex nazista, Jürgen Voller (Mads Mikkelsen), fisico che ora lavora alla Nasa.

L’impalcatura narrativa classica e le citazioni alle pellicole precedenti funzionano, il dialogo tra generazioni è accattivante e la riflessione sul tempo coinvolgente.

Resta però il fatto che “Indiana Jones e il Quadrante del Destino” raggiunga la durata di quasi due ore e mezza procedendo per accumulo, mettendo assieme scene d’azione disseminate per tutto il globo terraqueo e che coinvolgono navi, cavalli, aerei e relitti in fondo al mare. Troppi scenari e troppe comparse di lusso considerato che mancano l’incisività emotiva, lo humor e il genio con cui ci aveva viziati Spielberg.

La compromessa la prestanza fisica del protagonista gioca ad ammantare di malinconia il racconto e la battaglia al centro del film, declinata in più significati, è quella contro il tempo.

Pur essendo Ford/Jones in gran forma e ancora innegabilmente affascinante, il confronto con la vecchiaia e con la propria mortalità sono una presenza costante. Il film ragiona sui “what if” individuali e collettivi, ma regala anche accettazione del presente che, per definizione, ha ancora doni da offrire, per lo più inaspettati e quindi ancora più dolci e commoventi.

L’importante è mantenere viva la scintilla interiore, la sete di vita e fare pace con il proprio passato.

Indiana Jones è stato cinema vero, di quello che fa sognare. Questo goffo congedo resta prezioso.

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