Nothing compares, il ritratto intimo e libero di Sinéad O’Connor

Sinéad O’Connor, artista morta prematuramente a 56 anni, si racconta in un documentario che ne ripercorre gli esordi, le sofferenze e le contraddizioni

Nothing compares, il ritratto intimo e libero di Sinéad O’Connor

"Diventare una popstar è stato uno choc. Non lo volevo. Io volevo urlare." La voce fuori campo di Sinéad O’Connor prende per mano lo spettatore e lo conduce all'interno di Nothing Compares, documentario che il 30 luglio è andato per la prima volta in onda su Sky Documentaries e in simulcast su Sky Arte, ed è disponibile on demand, ma anche in streaming solo su Now Tv. Un documentario che aveva fatto il suo debutto allo scorso Sundance Film Festival e che porta sul piccolo schermo un ritratto inedito ma mai sfocato della cantante di origini irlandesi venuta a mancare solo pochi giorni fa.

La regista Kathryn Ferguson dirige un documentario che è in realtà una visione lucida di una cantante che non ha cercato la fama ma che, attraverso essa, ha cercato di risolvere i problemi di una vita personale fatta di abusi e sensi di colpa, dove ogni cosa in lei sembrava sbagliata. Ed ecco allora la musica che si fa terapia, le urla al microfono che diventano la valvola di sfogo per scacciare un peso che non si sa come affrontare e attraverso il quale si deve passare. E forse non è un caso che tutto il racconto, in questo bel documentario, venga fatto senza mai mostrare la cantante che si racconta. Le interviste che sono state realizzate dalla regista per questo ritratto intimo e diretto non vengono mai mostrare in video.

È la voce di Sinéad O’Connor che riempie lo schermo, è essa la vera protagonista, non il suo volto. Quella voce che la cantautrice ha utilizzato per costruire la sua identità, per sfuggire a una cultura che la voleva silenziosa e assoggettate alle rigide regole di un'Irlanda cattolica ed estremamente religiosa che ha costruito mostri sul senso di colpa. È quello che racconta la stessa O'Connor: una vita personale fatta di abusi, costretta a subire le crudeltà di una madre-mostro che solo la musica riusciva a tenere sotto controllo. Costretta, ancora, ad affrontare le sofferenze all'interno della sua famiglia e le conseguenze di un'emarginazione sociale mentre il padre volgeva lo sguardo da un'altra parte, troppo preoccupato a mantenere intatta la reputazione della famiglia, a non parlare dei problemi che si svolgevano dentro le mura domestiche, come se evitare i problemi li avesse fatti sparire.

Nothing Compares, un documentario-manifesto

Ed è sulle ceneri di questa storia personale che Sinéad O’Connor ha costruito se stessa e la sua identità di cantautrice: se la volevano coi capelli lunghi, le gonne inamidate e la voce soffusa degli angeli, lei rispondeva con la testa rasata, giacche enormi dove nascondeva la sua figura e la sua femminilità e grida intonatissime con cui urlava al mondo la sua esistenza, il suo diritto a essere come voleva, non come gli altri la volevano. È dunque il ritratto sentito di una donna che ha fatto la rivoluzione, che alla timidezza con cui fuggiva gli sguardi altrui controbilanciava una sicurezza quasi spaventosa, quando si trattava di dire ciò in cui credeva o di urlare la musica con la quale cercava di esprimere il suo mondo interiore.

Il suo rimpianto per aver sofferto tanto, per essere dovuta diventare forte anche quando non lo voleva. In questo senso fa quasi impressione la dicotomia che si crea tra la Sinéad O’Connor fuori dal palco e quella che cantava la sua musica davanti a folle via via più numerose. La prima è una creatura quasi elfica, che sorride in imbarazzo e parla a bassa voce, quasi dovesse chiedere il permesso. La seconda è invece una forza della natura, una cantante che ha saputo miscelare perfettamente la tradizione irlandese - nel documentario la O'Connor asserisce che il suo primo ricordo musicale è legato proprio al ricordo di suo padre che canta - con la nuova scena musicale di fine anni Ottanta, diventando la voce mainstream di coloro che non avevano voce, di coloro che non venivano ascoltati.

Con una regia psichedelica, che unisce filmati inediti d'archivio e videoclip dei brani più famosi, Nothing Compares non si limita ad essere un documentario di stampo biografico: non a caso la regista non vuole raccontare la vita della cantante, ma il peso che ha avuto nella cultura e nel mondo femminista (e non solo). Non è un caso, dunque, se la regista decide di affrontare un lasso di tempo breve, dal 1987 al 1993. Se da una parte è senza dubbio interessante seguire l'esordio di una cantante che è diventata manifesto di una rivoluzione culturale e musicale, capace di irretire anche i più scettici, dall'altra Kathryn Ferguson si concentra sull'ascesa e la caduta del mito nell'ottica degli Stati Uniti d'America, che in breve tempo hanno trasformato un'artista di grande talento in uno spauracchio, un volto da cancellare dietro un simbolo di divieto perché combatteva affinché la musica rimanesse libera, affinché restasse quel grido disperato di chi non aveva altro modo per rimanere a galla.

Nothing Compares, che è il brano che le ha regalato l'immortalità anche tra coloro che non erano suoi fan, diventa dunque il manifesto di una donna che non ha mai abbassato la testa e che quando veniva "seppellita" da chi

la voleva cancellare sapeva di essere "un seme", qualcosa che avrebbe continuato a germogliare anche nella terra arida di una cultura e di una società che non sapevano comprenderla del tutto.

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