"Le otto montagne", un film sulla ruvida poesia di essere al mondo

Un’opera di grande impatto, dal lirismo asciutto e privo di retorica. Tra ottime interpretazioni e panorami mozzafiato, va in scena una storia che nutre occhi e cuore

"Le otto montagne", un film sulla ruvida poesia di essere al mondo

Le otto montagne, film diretto dalla coppia belga formata da Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch e tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Cognetti vincitore del Premio Strega nel 2017, è un adattamento cinematografico di indubbio fascino.

Uno di quei rari film che, forte dei suoi silenzi e dei tempi dilatati della narrazione, continua a decantare dentro a lungo anche una volta terminata la visione.

Premio della Giuria alla 75° edizione del Festival di Cannes, “Le otto montagne” è una co-produzione franco-belga-italiana che in circa due ore e mezza sviscera l’amicizia tra Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi), dagli anni Ottanta che li videro bambini ai primi anni Duemila.

Il piccolo Pietro, figlio di un ingegnere (Filippo Timi), appartiene alla borghesia torinese e trascorre tutte le estati nella casa che i genitori hanno affittato in montagna, nel paesino di Graines, in Valle d’Aosta. L’unico altro bambino in zona è Bruno, che è nato in quei luoghi e non se ne è mai allontanato, non ha mai frequentato una scuola e trascorre le giornate lavorando nell’attività di famiglia. I genitori di Pietro avrebbero il desiderio di dare a Bruno una vita diversa, portandolo a Torino per farlo studiare ma il padre del ragazzino si oppone. Passano gli anni e Pietro e Bruno crescono distanti, hanno interessi diversi, si perdono di vista. Quando una tragica perdita colpisce Pietro, i due si riavvicinano e si apre una stagione che li vedrà vicini anche quando non lo saranno in termini di coordinate geografiche.

La montagna è il grande personaggio del film nel cui ventre si muovono gli altri. Tra le acque cristalline dei laghetti alpini, le cime imponenti e riprese panoramiche che sembrano avere la soggettiva di Dio, lo spettatore non percepisce la durata del girato. Malgrado i dialoghi siano rarefatti, “Le otto montagne” non tace mai, comunica sempre qualcosa, che sia bellezza, asprezza, senso della caducità della vita o altro legato al suo mistero.

Alessandro Borghi, bravissimo a calarsi nella parlata locale, il patois valdostano, è perfettamente credibile nei panni del montanaro tutto coraggio, dedizione e testardaggine.

Visceralmente attaccato al luogo natio, il suo personaggio sviluppa una totale dipendenza da quelle vette e quei crinali, al punto da sacrificare tutto il resto pur di tenere fede al rifiuto categorico di allontanarsene. Una ottusa coerenza la sua, che avrà un prezzo altissimo.

Il suo isolamento volontario esclude l’uomo possa adattarsi a nuovi contesti, che sono invece quelli ricercati spasmodicamente da Pietro, il quale finirà con l’ambientarsi nel lontano Nepal.

Provenienti da mondi opposti e antitetici, i due sviluppano un’amicizia virile, fatta di intesa silenziosa, affetto coriaceo e di una sinergia speciale, quella che nasce da una sensibilità affine.

Scorrevole e coinvolgente, “Le otto montagne” parla di come ci siano individui che si scelgono tra loro, stringendo legami più potenti di quelli di sangue. Nel film vediamo in questo senso una famiglia allargata in cui ci sono ragazzi che si sentono fratelli e un padre incompreso dal figlio naturale ma complice di quello “acquisito”. Sono rari i momenti benedetti in cui queste figure sono assieme in armonia, ma il ricordo di quel legame imperituro è impresso nel ghiacciaio della montagna e viene cementato dalla ristrutturazione di un rudere che sarà la casa di un sentimento.

La complicità di due giovani uomini nell’esaudire l’ultimo desiderio di chi non c’è più è solo una porzione di quell’affresco che copre una vita intera e li vedrà poi alla ricerca del proprio posto nel creato.

Il formato in quattro terzi scelto dai registi allude alla compresenza di scenari immensi, ovvero di un mondo a portata di mano, e di limiti autoimposti, andando quindi a costituire una metafora del rapporto tra ambiente e personaggi.

Il richiamo delle origini e l’importanza del tempo condiviso sono solo alcuni dei tanti temi universali sfiorati in “Le otto montagne”. Tra separazioni e ritorni osserviamo l’incontro tra due modi di intendere l’esistenza solo apparentemente antitetici. L’affiatamento tra i protagonisti si specchia in quello tra gli interpreti. Pietro e Bruno incarnano declinazioni diverse di un sentire comune, proprio come Borghi e Marinelli declinano lo stesso pregevole talento in interpretazioni divergenti tra loro.

“Le otto montagne” resta impresso per la maestà dell’incontro tra cielo e roccia, simulacro di quello tra forza interiore e forza fisica.

Da oggi al cinema.

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