Quasi amici, un film inclusivo senza la banalità del politicamente corretto

In un mondo sempre più piegato al politicamente corretto, Quasi amici è una commedia che insegna che l'inclusività non deve per forza passare attraverso i ricatti emotivi

Quasi amici, un film inclusivo senza la banalità del politicamente corretto
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Scritto e diretto da Olivier Nakache e Èric Toledano, Quasi amici è il film campione d'incassi che va in onda questa sera alle 21.21 su Canale 5. Si tratta di una pellicola che ripercorre le fasi di un'amicizia reale. Il film, infatti, è ispirato a una storia vera, tratta a sua volta dal romanzo autobiografico di Philippe Pozzo di Borgo.

Quasi amici, la trama

Driss (l'Omar Sy del recente Lupin) è un uomo di origine senegalese che vive nella banlieu parigina e cerca di sopravvivere alla giornata accettando ogni lavoro che può. Il suo passato dietro le sbarre è un deterrente per molti imprenditori che non vogliono assumere un ex galeotto e Driss ha bisogno di lavorare per aiutare la sua famiglia e tenere i più piccoli lontani dalla strada. Un giorno, dopo l'ennesima gita all'ufficio di collocamento, Driss si ritrova in un sontuoso palazzo al centro di Parigi. È qui che conosce Philippe (François Cluzet), un uomo colto e ricchissimo, che però è tetraplegico e quindi ha bisogno di un'assistenza ventiquattrore su ventiquattro. Incredibilmente è proprio Driss ad ottenere il lavoro: nonostante non abbia nessuna esperienza nel campo, né alcuna preparazione in ambito medico, Driss viene assunto perché non tratta Philippe né con pietà né con accondiscendenza. Sebbene l'incontro tra i due protagonisti all'inizio abbia il sapore amaro del fallimento, tra Driss e Philippe comincerà una strana ma profonda amicizia che cambierà il destino e il futuro di entrambi.

Quando l'inclusività non è inseguita per puro algoritmo

Quasi amici è una pellicola che, a dispetto dal tono da commedia, racconta un tema molto delicato. Ma forse è proprio nella commedia che si deve ricercare il motivo per cui il film francese è stato un tale successo internazionale da spingere persino Hollywood a fare un remake con il Bryan Cranston di Breaking Bad. In una narrativa ormai sempre più votata al politicamente corretto a ogni costo, dove persino la parodia del noto "algoritmo" di Netflix fatta da Boris si è tramutata quasi in una realtà distopica, sarebbe stato facile "giocare sporco" nel portare sul grande schermo la storia d'amicizia tra un ricco tetraplegico e un ragazzo senegalese che vive nelle periferie e deve sopravvivere alla giornata per provvedere anche alla sua famiglia. Con una storia del genere sarebbe stato facile ricorrere al ricatto emotivo, trattare il materiale di partenza con la volontà di appiattire ogni conflitto, ogni possibile sfida all'emotività di un pubblico che si sta sempre di più abituando alla mancanza di giudizio critico o spirito d'osservazione. In parte, questa era la paura anche del diretto interessato. In un'intervista riportata dal sito francese Allociné, Philippe Pozzo di Borgo ha raccontato di aver avuto molte reticenze prima di accettare che qualcuno traesse un film dalla sua esperienza, preoccupato soprattutto di arrivare al cinema come un personaggio che elemosina pietà, che è "protetto" dalla narrativa della "persona speciale", nomenclatura che spesso serve più a dividere che a includere. Rifiutando la prima proposta che gli era stata fatta riguardo a un film drammatico sulla sua vita, Philippe Pozzo di Borgo ha detto: "Non me la sono sentita. Non ho avuto il coraggio di fare qualcosa di triste... Non era un granché per persone già distrutte o escluse."

Ecco allora che la grandezza di un film come Quasi amici sta proprio nel sottolineare come l'inclusività non debba passare necessariamente attraverso l'imposizione di standard che servono soprattutto alle case di produzione per non essere attaccate dai nuovi tribunali online. Quasi amici dimostra come l'inclusività non abbia bisogno di regole o barriere, di scelte narrative messe in campo solo per partecipare a una corsa all'ultima moda, né tantomeno di un buonismo che molto spesso serve solo a far sentire ancora più escluso chi è costretto a vivere con condizioni difficili, siano esse di natura economica, sociale o culturale. Quasi amici insegna che l'inclusività non è in ciò che viene dettato da fuori, ma nella capacità di guardare con trasparenza e sincerità al mondo. La pellicola dimostra che anche ridere in mezzo a una tragedia è utile e spesso più utile di un tono ossequioso e gentile, che appunto aumenta il senso di diversità. Non c'è niente che sia politicamente corretto, in Quasi amici. Addirittura, nella pellicola c'è una scena in cui i due protagonisti sfruttano proprio la malattia di Philippe per non incorrere in una multa a causa della velocità con cui viaggiavano in macchina.

Quasi amici dimostra che la vera inclusività è quella che avviene in modo naturale e spontaneo e che non ha niente a che vedere con le richieste di un algoritmo che sta appiattendo qualsiasi tipo di forma d'intrattenimento.

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