“Temple of Film: i 100 anni dell’Egyptian Theatre”, tra spot e omaggio

Netflix si lava la coscienza dell’essere parte della progressiva estinzione dei cinema intesi come edifici fisici e rende omaggio a quello più iconico di Hollywood. Ma c’è una strategia precisa

“Temple of Film: i 100 anni dell’Egyptian Theatre”, tra spot e omaggio
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Su Netflix compare da questa settimana Temple of Film: i 100 anni dell’Egyptian Theatre, un cortometraggio di undici minuti diretto da Angus Wall.

La durata esigua lo farà passare sottotraccia nella marea di titoli, eppure la sua sola presenza merita una riflessione. Si tratta infatti dell’osanna alla sala cinematografica in quanto tempio deputato alla settima arte. L’occasione è la recente riapertura dell’Egyptian Theatre, iconico cinema di Hollywood che ha compiuto 101 anni, ha ospitato anteprime epocali e, viene ricordato nel micro-documentario, è sopravvissuto al passare del tempo, finanche ad un terremoto. Ebbene, dal 2020 è divenuto proprietà del colosso dello streaming che ne ha finanziato la ristrutturazione e garantita la riapertura proprio in questi giorni.

Un modo per ribadire le buone intenzioni di chi il cinema lo ama e si pone al servizio della settima arte forse, ma il fatto che si tratti di Netflix suggerisce un cortocircuito valoriale. Da un lato Temple of Film incensa il regno magico della sala cinematografica, dall’altro è finanziato e diffuso da un’entità che sta contribuendo alla scomparsa di un rito collettivo di cui si dichiara qui la sacralità.

L’incipit recita così: "Un grande film ti porterà in posti che non avresti mai immaginato e, se accade in un tempio a esso dedicato, l'esperienza diventa trascendentale".

Una riflessione lapidaria che nel migliore dei casi rende Temple of Film una capsula del tempo atta a conservare una magia del passato (quella della sala cinematografica) affinché in futuro si sappia che è esistita, e nel peggiore dei casi appare come l’incisione sulla pietra tombale di un’epoca.

Guillermo del Toro, Rian Johnson e altri stimati luminari del cinema riflettono su come ogni arte abbia diritto a un tempio e su come i cinema siano spazi in cui si compie una sorta di terapia atta a scuotere ed elevare l'anima. Al buio insieme a persone sconosciute l'immersione è maggiore, si entra in un altro mondo, attuando un viaggio di gruppo verso la consapevolezza, godendo di “un'allucinazione collettiva” che diventa esperienza rinvigorente e che lascia taluni intimamente cambiati.

Solo dopo si fa cenno nello specifico alla ricca storia del Teatro Egizio di Los Angeles, che recupera la sua antica grandezza come magnifico palazzo del cinema. Si ripercorrono alcune grandi anteprime del passato, a partire da quella inaugurale di Robin Hood con Douglas Fairbanks.

Ora veniamo al retroscena realistico e strategico che non trova posto ovviamente in questi pochi minuti di Temple of Film. L'Academy richiede che un film venga proiettato per almeno sette giorni consecutivi in un cinema commerciale nella contea di Los Angeles per poter beneficiare dei suoi premi. L’acquisto dell’Egyptian Theatre ha quindi consentito a Netflix di rendere i propri titoli originali idonei agli Oscar, senza doverli far uscire con la consueta distribuzione nazionale in altri cinema. (Tra l’altro, come riporta Vulture, esiste una norma vecchia di 71 anni che di fatto ha vietato agli studi cinematografici di possedere sale cinematografiche, ma Netflix ha comunque potuto acquistare legalmente un cinema).

“Ex tenebris vita”, campeggiava sopra al grande schermo di una elegante e

leggendaria sala cinematografica milanese oggi dismessa. L’unica consolazione è ricordare che la settima arte sia più grande del suo tempio e quindi sopravvivrà anche alla eventuale distruzione di quest'ultimo.

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