La Cini batte i maschi e va nell’Olimpo «Temo soltanto i ciuffi negli occhi»

Il problema? «Evitare che mi vadano ciuffi negli occhi». Sennò chi ci prende con i fuorigioco. La soddisfazione? «Mi trattano come un maschiaccio: niente galanterie. Anche se, ogni tanto, trovo un mazzo di fiori davantì allo spogliatoio. Una carineria delle società». Cristina Cini è una fiorentina di sangue, non di lingua. Nel senso che accompagna con dolcezza le parole, non ti taglia a metà. Usa la bandierina come i pennelli. Ha studiato al liceo artistico, dipinge stampe ad acquarelli per una ditta. Servono precisione, freddezza, attenzione. Chiaro che oggi sia una delle migliori guardalinee del calcio professionistico: «In più mi ha aiutato l’atletica leggera. A livello giovanile ero una discreta velocista».
Allora, ex velocista che oggi è apprezzata guardalinee nella serie A del calcio. Dove poteva finire? Alle Olimpiadi, ha risposto Collina senza incertezza. E Cristina Cini, anni... diciamo lentamente avviata verso gli anta, sarà l’unica rappresentante della categoria a Pechino, un altro muro che si sgretola. Olimpiadi, dice lei, è sinonimo di sogno. «Soprattutto per una come me, che ha praticato l’atletica leggera. Mi sembrava un sogno proibito». Invece...
Racconta di aver già sperimentato il pubblico cinese, durante i mondiali femminili. Bella esperienza. «Sono molto educati, applaudono, incitano perfino la terna arbitrale. Gli stadi sono sempre pieni, il calcio è una festa». Altre storie rispetto alla cosa nostra. La signora Cini si è sentita dire di tutto. «Parolacce tipiche a cui non faccio caso. All’inizio qualcuno mi scambiava per la fidanzata dell’arbitro. Ho fatto scuola nei campi minori, nelle partite dei bambini dove le mamme ti urlano cose irripetibili. Dovrebbero essere esempi... Non è bello vedere litigare i genitori sugli spalti, mentre giocano i bambini di 10-11 anni». Cristina non ha figli. È innamorata dei cani: ne ha sette. È innamorata anche del marito che con lei ha fatto il corso per arbitri. «Allora eravamo fidanzati. Io ho continuato, lui ha smesso presto. Però mi capisce». Era il tempo delle pioniere. «Aprirono alle donne nel 1991-92, oggi siamo 1200-1300 su 30.000. Anche per noi donne il calcio è passione. Non ci sono solo maschi».
L’esordio in serie A è stato un elettrochoc. «Juve-Chievo ultima giornata del campionato 2002-2003. Tremavo prima di entrare in campo e altre volte mi è successo. Poi mi sono abituata». Ed è stata un’escalation: Champions league nell’agosto 2007 («Sembrava impossibile arrivarci»), campionati del mondo femminili. Racconta che l’abitudine alle grandi manifestazioni comprende l’affacciarsi tranquilla in stadi pieni, respingere la paura, non temere la moviola. «Non serve un rapporto conflittuale. La moviola è comunque utile per capire, per cercare di evitare gli errori. Serve a migliorare. Certo, quando sbagli non ci stai bene. La cosa più difficile? Pescare il fuorigioco». Poi, magari, ti capita il Cassano che ti difende durante Samp-Torino dagli attacchi verbali dei granata. Effetto gentleman imperdibile. «Eppure non mi sono accorta di niente, stavo rientrando negli spogliatoi.

Me lo hanno raccontato: è stata una cosa bella». Ma si ferma lì, non va oltre, nemmeno per restituire la galanteria. Dica signora: il più bello del reame calcistico? Vorrebbe rispondere, poi si morde la lingua: «Meglio non fare nomi, sennò mio marito...».

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