Collina l’intoccabile il vero problema degli arbitri in crisi

All’alba dei 50 anni, li compirà il 13 febbraio prossimo, Pierluigi Collina difende con le unghie e i denti la poltrona di designatore sulla quale siede dal 19 luglio 2007 per gestire arbitri e guardalinee di A e B, una poltrona da 500mila euro l’anno. Il sistema ha fatto gli straordinari pur di garantirgli la verginità e metterlo al comando della Can di A e B: quanto doveva servire per cancellare l’oscuro periodo legato a Pairetto e Bergamo. Il regalo più importante? La riammissione nell’Aia, l’associazione di categoria, che aveva abbandonato nell’agosto 2005 in seguito alle polemiche sull’accordo pubblicitario con la Opel, storico sponsor del Milan, definito senza il consenso scritto dell’allora presidente Lanese.
Ma non è cosa da poco il fatto che Collina, in piena Calciopoli, sia uscito indenne dalla telefonata con Leonardo Meani, l’ex addetto agli arbitri del Milan, al quale chiedeva di organizzare un incontro carbonaro con Galliani nel suo ristorante, meglio ancora se nel giorno di chiusura e con l’ingresso dalla porta secondaria. In discussione il suo futuro da designatore. I contatti telefonici con Meani non macchiarono neppure la carriera dell’ex assistente Alessandro Stagnoli, che ora è uno dei suoi tre vice, mentre costarono 3 mesi di squalifica ad un altro assistente, Copelli, e addirittura 4 mesi e 2 giorni all’ex osservatore D’Addato, passato armi e bagagli nell’area comunicazione e marketing del settore tecnico. Colpe diverse.
Di recente la Federcalcio ha sorvolato sull’inchiesta del quotidiano Italia Oggi che portò alla ribalta un paio di cosette: innanzi tutto che l’assistente Papi, tuttora in attività, è il suo commercialista, così come lo è di Bergamo e di altri fischietti; in secondo luogo che presso lo studio pratese di Papi è ubicata una società, facente capo per il 20% al designatore e per l’80% alla moglie, dal nome emblematico “The man in Black” con utili di 520mila euro nel 2008 e un patrimonio di 1,7 milioni in titoli e obbligazioni. Il vicepresidente federale, Carlo Tavecchio, che voleva fare luce sulla vicenda, fu messo a tacere: «Cose da nulla». Più o meno analoga la dichiarazione di Collina: «Non vedo proprio cosa ci sia di strano in questo mio comportamento. È dal 2001 che mi faccio curare gl’interessi da Papi». Contenti loro, scontenti tutti. Un minimo di etica e di estetica non guasterebbe. Ma è lontano il tempo in cui si chiedeva ai designatori di tenere un comportamento che non desse adito al benché minimo chiacchiericcio.
Ma se questo rapporto è così normale e così alla luce del sole perché Collina ha fatto il giro telefonico delle sette chiese, alias giornali, per minimizzare la questione? Se è a posto con la coscienza, se ne freghi. Invece no, s’incavola di brutto. Possibile che, nel momento in cui è stato nominato a capo della Can dopo Calciopoli, non abbia ritenuto opportuno rivolgersi a un commercialista diverso da un suo sottoposto? Uno che poi va a designare? Possibile, visto che non l’ha fatto.
Era ritenuto l’uomo giusto al posto giusto. Ma i risultati sono scadenti, specie sul piano dell’uniformità di giudizio. Vedi le gomitate impunite, i “vaffa” che talvolta valgono due giornate (Maicon) e altre nessuna (Totti o Del Piero), i falli da dietro (ricordate le entrate di Contini e Cordoba?) considerati alla stregua di educativi buffetti. Per non parlare di alcune clamorose sviste sui fuorigioco: storico il gol di Maicon a Siena. Nella domenica in cui il suo fido Orsato non concedeva due rigori solari alla Sampdoria, di quelli che non possono sfuggire neanche a un ipovedente, lui s’è preoccupato di fare chiarezza sul perché Rosetti aveva arbitrato poco fino a quella giornata. Mai che dicesse «Abbiamo sbagliato di brutto, ci scusiamo con le squadre e il pubblico». No. Per lui gli arbitri s’inceppano sul più bello per colpa della moviola che va troppo in profondità, come se spettasse a lui vagliare il lavoro giornalistico, e dei giocatori che non collaborano, fanno i furbi, eccetera, eccetera. Da un dirigente strapagato, ci si aspetterebbe qualcosa di più e di meglio. Ci si aspetterebbe soprattutto un rendimento più continuo da parte dei suoi uomini migliori che in certi periodi vanno a mille e in altri commettono fesserie ciclopiche. Macché.
Sulla moviola si contraddice ogni piè sospinto, visto che se ne serve, quando gli fa comodo, per giustificare i suoi uomini e fare didattica a Coverciano. Negli altri casi la considera alla stregua di un nemico, il nemico numero uno. Ma la moviola fa parte dello show-business, la usano in tempo reale tutti i telecronisti, in Italia come in qualsiasi altro Paese del mondo. Altro che balle. Di recente ha fatto un passo indietro, che stia ravvedendosi? In altri sport la tecnologia decide coppe del mondo (rugby), podi olimpici (scherma) o grandi tornei (tennis), nel calcio appare come uno strumento diabolico. Ma non è giusto che la Francia vada al Mondiale per merito di un baro smascherato “live” in ogni parte del mondo. Nel frattempo va avanti la sperimentazione dei giudici di porta in Europa League. È come andare da Milano a Roma in motorino.
Quanto ai calciatori, sono quelli di sempre, pronti a tuffarsi pur di guadagnare un rigore. Piuttosto, Collina se la prenda con i presidenti e gli allenatori che affondano il coltello nella piaga e non lo mollano, il coltello. Loro sì che usano gli errori di arbitri e assistenti per coprire le magagne d’una classifica deficitaria e farsene scudo nei confronti della tifoseria. In Premier League sir Ferguson è stato squalificato per aver insultato il quarto uomo. Abbia il coraggio, Collina, di chiedere altrettanto alla Lega. Abbia il coraggio di pretendere che le immagini vengano usate senza paletti di alcun genere per punire violenti e simulatori. A costo di rimetterci il posto. Allora sì che i suoi uomini lo amerebbero, tutti i suoi uomini.
All’interno del suo gruppo s’è creato invece un rapporto a due livelli: buono con 10-12 arbitri, quelli a cui riversa tutta la fiducia possibile, istituzionale con tutti gli altri. A denunciare questa situazione è stato l’ex arbitro Graziano Cesari: «Non c’è tranquillità nella Can. Collina la gestisce come qualcosa di suo. Ha il suo gruppo, dodici arbitri, che difende a prescindere. Gli altri li utilizza con il contagocce e facendogli pagare tutto». Nella magnifica dozzina rientrerebbero Brighi, Damato, Gervasoni, Morganti, Orsato, Rizzoli, Rocchi, Saccani, Tagliavento e, con un punto interrogativo, Banti, Bergonzi e De Marco. Non c’è Rosetti, il numero uno della categoria. Ma quel che pesa è un altro fattore: l’incapacità di trasferire le sue cognizioni e il suo sapere. In campo era intoccabile, oggi si crede intoccabile senza essere diventato leader e maestro. Di qui il suo fallimento.
A metterlo sull’attenti è stato il nuovo presidente della Lega con queste parole pronunciate davanti a tutta la casta: «Quello degli arbitri è rimasto in assoluto l’unico settore del calcio e del mondo che non dà conto a nessuno, se non a se stesso.

È meglio che voi arbitri cominciate a dare conto delle vostre scelte alle altre componenti e anche al pubblico chiarendo i particolari poco chiari in tv. Sareste molto più amati». Da questa stagione gli arbitri del basket spiegano in diretta i loro errori a fine partita. A quelli del calcio viene chiusa la bocca. Come nel Medioevo.

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