Contrabbandieri all’assalto del tesoro reale

Nella Siviglia del ’600, tra complotti e battaglie: arriva la quarta avventura del capitano Alatriste creato da Arturo Pérez-Reverte

Esce in Spagna il nuovo libro di Arturo Pérez-Reverte, Corsarios de Levante (Alfaguara), sesto episodio della saga del capitano Alatriste, mentre da noi l’editore Tropea manda in libreria il quarto volume dell’autore spagnolo (L’oro del re, pagg. 236, euro 16, traduzione di Roberta Bovaia), dove narratore è il giovane aiutante Íñigo Balboa, con accanto lo scrittore Francisco de Quevedo, personaggi già presenti nel ciclo avventuroso dell’hidalgo spadaccino.
Siamo nella Spagna del Secolo d’Oro e luogo delle imprese rocambolesche dell’intrepido capitano è ora Siviglia, grande emporio del commercio per le Indie e vivace scenario di vita sociale e intrigo politico. Il racconto ha inizio nella vicina Cadice, anch’essa porto d’imbarco e di arrivo dei galeoni spagnoli, dove inglesi e olandesi sono piombati poco prima con centocinquanta navi da guerra e diecimila uomini decisi a espugnare i grandi bastioni del porto. La resistenza opposta dai difensori ha però trasformato lo sbarco in una ritirata caotica con molti vascelli in fiamme e numerosi morti e prigionieri, subito passati per le armi o impiccati sui pali delle banchine.
Mentre il veliero «Jesús Nazareno» scivola leggero nel vento di ponente, Íñigo guarda dalla tolda della nave la striscia verde e blu della baia del Porto di Santa Maria che si avvicina. Il giovane ripone nella sacca La vita del furfante Guzmán de Alfarache, capolavoro della picaresca spagnola, comprato dal suo capitano Alatriste, che gli è accanto e osserva le devastazioni compiute dagli odiati eretici. Vengono dai freddi mari del Nord, dopo aver rotto il blocco olandese, sostenuto furiosi scontri navali con i nemici, distrutto la loro flotta della pesca all’aringa, per girare al largo della Scozia e dell’Irlanda, quindi hanno puntato diritto verso il sud. Nelle soste è stata di conforto la lettura del libro di Mateo Alemán e di altri autori, tra cui un’opera di Svetonio e la seconda parte dell’Ingegnoso hidalgo don Chisciotte della Mancia.
Il lettore è avvertito: il racconto, fondato su fatti e avventure collocati nella Spagna secentesca di Quevedo e Lope de Vega - di cui ricorrono numerosi versi nel libro - è ricco di riferimenti letterari, anche perché siamo in un’epoca in cui cultura, religione e ideale militare esaltano analoghi valori, a partire dal codice dell’onore e della fedeltà al proprio re, più vivo e manifesto in un momento di decadenza come questo, che vede la Spagna uscire sconfitta dalla guerra con l’Inghilterra protestante.
Dopo lo sbarco a Cadice, il racconto si sposta nei bassifondi della caotica e sfavillante Siviglia, dove Alatriste è chiamato da un anonimo potente - forse il conte duca di Olivares - a difendere il tesoro della flotta reale in arrivo dalle Indie Occidentali. A Don Diego è stato affidato il compito di sventare in tempo il colpo organizzato da cortigiani corrotti che vogliono impadronirsi del fiume d’oro e d’argento custodito nella stiva del galeone in viaggio verso il Guadalquivir. Senza perdersi d’animo, il capitano va alla ricerca di uomini ardimentosi e disposti a tutto: per primo visita gli ambienti sordidi della città, entra nell’alveare umano del Corral de los Naranjos, all’ombra della Cattedrale, pullulante di ex-galeotti e furfanti sfuggiti alla giustizia; quindi fa un’incursione nelle terribili prigioni reali della città, offrendoci uno spaccato di vita sociale alla vigilia dell’esecuzione di un condannato a morte. Tra i cospiratori del complotto non manca qualche nome italiano, genovese soprattutto, speculatore interessato. Dopo un’audace impresa solitaria compiuta dal giovane Íñigo, assistiamo a una terribile battaglia fatta di agguati, violenti scontri, colpi di spada e pistolettate, ingaggiata dal coraggioso Alatriste contro i loschi contrabbandieri dell’oro del re, che finiscono per soccombere e fuggire.
Pérez-Reverte continua dunque a proporci un personaggio fuori del tempo, uno spavaldo protagonista che celebra sul filo della lama il culto della forza e della prestanza fisica, ma a ben guardare egli incarna un ruolo preciso di fedeltà a una causa superiore, anche quando questa è ormai decaduta e destinata a scomparire. La malinconia che attraversa alcune pagine del libro, pur segnate da alte grida di morte e battaglia - e dove non manca la lieve trama di una storia d’amore vissuta dal giovane Íñigo con una leggiadra damigella - conferma ampiamente (lo ribadisce anche l’epilogo) che il capitano Alatriste più che gli onori e la ricompensa materiale persegue altri obiettivi.

La sua grandezza consiste in una sfida continua che vive con slancio e voluttà poiché in essa - come scrive Lorca a proposito del torero Ignacio Sánchez Mejías - egli trova «il suo profilo più sicuro», la parte migliore di se stesso.

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