Contributi cristiani alla democrazia

Morto lo scrittore che fondò insieme a Queneau il celebre «Laboratorio di letteratura potenziale»

Lo scopo (spero non sempre disatteso) di questa rubrica è quello di cercare, nei liniti delle capacità di chi scrive, esempi non di letteratura devota o edificante, ma di un solido «pensar cristiano» capace di stare di fronte alla realtà in cui viviamo e alle sue sfide.
Per questo, e solo per questo, segnalo oggi non un libro ma un articolo comparso su il Riformista di sabato scorso. L’autore, ben noto, è Giorgio Vittadini, e l’occasione è il convegno, tenutosi a Norcia, dal titolo «A Cesare e a Dio», fortemente voluto dal presidente del Senato Marcello Pera, dedicato al problema dei rapporti «tra religione e politica, tra fede e impegno civile».
L’articolo, dopo alcune righe molto dure contro i soliti commentatori interessati, pronti a immaginare «formazioni teocon in cui un rigore religioso basato su ferree regole morali e tradizioni un po’ démodé si sposerebbe con presunte svolte misticheggianti di ex-atei incalliti in cerca di chiese» (siamo veramente al trionfo dell’ignoranza), invita il lettore a riflettere su alcune questioni di fondo.
«Il rapporto tra chi crede e chi non crede - scrive Vittadini - non si stabilisce sulla base di valori o principi astratti, ma nell’incontro tra persone». E le persone si incontrano su fatti, non su principi astratti.
Difendere il cristianesimo significa perciò innanzitutto difendere un’esperienza concreta di libertà attraverso rapporti umani: si chiama comunità cristiana. Ma questo diventa un valore per tutti gli uomini, non solo per i cristiani: per un laico, si tratta di salvaguardare «la possibilità dell’esistenza di istanze veramente liberali», la prima delle quali riguarda «l’io, la sua irriducibilità ad ogni schema e la sua capacità di inventare una società giusta». Raramente capita di leggere parole così chiare sull’apporto (mai come oggi misconosciuto a livello culturale) dell’esperienza cristiana alla democrazia.
Dopo altre osservazioni che meriterebbero ciascuna un giusto approfondimento, Vittadini conclude dicendo che «non è questione di moralismo o di ideologie neoconservatrici, serve piuttosto interrogarsi sul futuro del nostro Paese nel contesto di un’Europa patria della conoscenza e non di lobby bipartisan».


Dove «futuro» vuol dire «educazione» e dove la parola «conoscenza» (che riporta anch’essa all’idea di educazione) richiama la vera natura inalienabile dell’Europa (anche perché, quanto a potenza economica, non possiamo dimenticare che il numero di miliardari in Cina supera quello dell’intera popolazione italiana).

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