Contro il picconatore Cossiga processi e perizie psichiatriche

I pidiessini, aiutati da Repubblica, cercarono di zittire e cacciare il presidente. Quella volta che Scalfari disse: "Il Parlamento voti per portarlo in una clinica"

Un pazzo, un depresso cronico tendente al delirio da portar via dal Quirinale con la camicia di forza, dopo aver disposto una perizia psichiatrica per iniziativa parlamentare, o dopo averlo zittito di comune intesa politica, incastrato con un impeachment, rovinato una volta per tutte. A guardare oggi gli anni del Quirinale interventista di Cossiga «il picconatore», sembra passato un secolo. La sacra istituzione del presidente della Repubblica, da rispettare in genuflessione sennò si manca di senso dello Stato? Era la stessa istituzione di oggi, ma l’insulto era lecito, anzi gradito, in quel caso. Impensabile adesso, ma allora un semplice Fracchia (non il personaggio di Paolo Villaggio ma un oscuro deputato del Pds) diede del «ricattatore» al presidente della Repubblica e nessuno si indignò per lesa maestà.

Nel partito degli ex comunisti, piuttosto, c’era la gara a colpire il capo dello Stato, considerato un pericoloso disturbatore della vita pubblica, estraendo dal cilindro l’accusa più micidiale per toglierlo di mezzo. Però lui parlava, e anche spesso. E allora a Franco Bassanini e Luciano Guerzoni, due parlamentari Pds, venne l’idea: proporre ai direttori di giornale di non pubblicare più le dichiarazioni del presidente, cioè censurarlo scientificamente. «Mettergli la museruola? Magari, ma purtroppo è impossibile» sospirò Giorgio Bocca, seriamente dispiaciuto dell’impedimento, e nessuno lo trovò offensivo. Anzi, ci si rideva su, a Piero Chiambretti venne l’idea satirica di regalare un bavaglio a Cossiga. Risate. Era tutto normale. Normale che Achille Occhetto paragonasse il presidente a un populista stile Peròn, normale che le esternazioni del capo dello Stato fossero soprannominate dai parlamentari «il delirio neuro-vegetativo» del Quirinale. C’è un pazzo al Quirinale, evacuatelo. In prima linea c’era Repubblica, in quegli anni furente accusatrice del Colle, come oggi di Palazzo Chigi. C’era addirittura una rubrica apposta sul giornale di De Benedetti, si chiamava «Cossigheide», per raccontare «le malefatte» (così le definì il condirettore di allora Gianni Rocca) del presidente della Repubblica, tutt’altro che un sacro monumento repubblicano da non insultare. La questione psichiatrica, peraltro, era presa molto sul serio dai nemici del Quirinale. «Ci fu una cena a casa di Eugenio Scalfari - raccontò una volta lo stesso Cossiga -, alla quale era presente tra gli altri il gran borghese del Pri, Visentini. Si parlava di me e a un certo punto Scalfari disse: “Se non riusciamo a metterlo sotto impeachment, facciamo almeno votare una mozione al Parlamento perché sia sottoposto a perizia psichiatrica”. Mi volevano mandare a casa con la camicia di forza». Cossiga parlò anche di un dossier, su di lui, in cui si diceva che andasse a fare elettrochoc in Romania. «Ci andavo in Romania, ma non a fare elettrochoc - spiegò poi -. E nemmeno in cura da quel famoso psichiatra a Pisa. E neppure faccio uso di litio. Questa faccenda della mia pazzia l’hanno messa in giro i miei colleghi di partito, e mi diverte molto. Quando ero presidente della Repubblica si facevano riunioni per decidere se sottopormi a perizia psichiatrica». Fallita la via psichiatrica, si tentò il processo parlamentare al presidente della Repubblica. Sempre il Pds, su iniziativa di Occhetto (per Cossiga lo «zombi coi baffi»), portò nel dicembre del 1991 alla Camera la richiesta di impeachment contro il presidente della Repubblica per la «concatenazione logico-temporale di atti e comportamenti volti intenzionalmente a modificare la forma di governo». In una parola: golpista, vecchia accusa sempre valida, anche se il vecchio nemico era nel frattempo diventato un’istituzione. Cossiga, «Esternator», una volta sfiorò Carlo De Benedetti, presidente dell’Espresso-Repubblica, alle prese con il risanamento dell’Olivetti: «Se vuole salvare l’azienda venda Repubblica...» scherzò il presidente. Non l’avesse mai detto, venne giù il mondo, tutto addosso al Quirinale. L’ex segretario della Cgil Luciano Lama, allora vicepresidente del Senato, si indignò profondamente e lo fece sapere a tutti: «Cose mai viste, il presidente non ha rispetto per i lavoratori!». Si unì al coro il segretario del Pri Giorgio La Malfa: «Cossiga è espressione di una cultura da socialismo reale». L’impeachment, come la perizia psichiatrica, fallì.

E lui lo mise nel dizionario dei famosi «sassolini», che si tolse una volta lasciato il Colle, alla lettera I, «come impeachment o come incazzato». «Ho immaginato un libro di storia con i grandi processi ai governanti della storia, quelli contro Carlo Stuart e Luigi XVI. Ce lo vedreste accanto a loro Francesco Cossiga, sardo?». Ce lo vedevano, eccome.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica