La Corea del Nord minaccia Seul: «Spietati contro chi ci provoca»

Dopo la bomba atomica fatta esplodere in faccia al mondo, dopo i cinque missili di sfida, Pyongyang mette sul tavolo l’avvertimento fatale minacciando di gettare alle ortiche l’armistizio firmato 58 anni fa e riprendere gli attacchi alla Corea del Sud. «Il più piccolo atto ostile... compreso il fermo e la perquisizione delle nostre pacifiche navi innescherà un’immediata e potente risposta militare», ha annunciato ieri Pyongyang. Quel comunicato è la risposta alla decisione di Seul d’unirsi ai 95 paesi impegnati nelle perlustrazioni marittime dell’Iniziativa di sicurezza contro la proliferazione lanciata a suo tempo dagli Stati Uniti di George W. Bush.
«Visto che i fantocci del Sud sono così ridicoli da unirsi al resto del racket per dichiarare guerra ai loro compatrioti siamo costretti a prendere delle misure decisive, chi ci provoca farà i conti con una punizione inimmaginabile e spietata», promette il regime di Pyongyang. E per dimostrare di far sul serio rigira la chiave di Yongbyon, lo stabilimento nucleare per l’estrazione del plutonio bloccato dopo l’accordo sulla fine degli esperimenti nucleari firmato in cambio d’aiuti e finanziamenti internazionali. «Stando ai satelliti statunitensi le installazioni di Yongbyon hanno ripreso a operare, come dimostrano alcune nubi di vapore», scrive Chosun Ilbo, il più diffuso quotidiano di Seul.
La terrificante sequenza d’atti intimidatori e minacce innescata dall’esperimento nucleare di lunedì sembra far tremare i polsi anche a Mosca. Il Cremlino, sempre restio a sanzionare le attività d’Iran, Nord Corea o altri paesi coinvolti in progetti nucleari, teme per l’incolumità delle proprie frontiere e ipotizza forme d’intervento. «Non parliamo ancora di un vero e proprio innalzamento delle attività militari, ma - spiegano fonti russe - di misure per fronteggiare un possibile conflitto nucleare». E mentre Mosca convoca l’ambasciatore di Pyonyang, il presidente Medvedev promette al presidente sudcoreano Lee Myung Bak di voler lavorare con Seul a una nuova risoluzione.
L’inedita voglia russa di sanzioni non basta però ad arginare la situazione. A Washington il presidente Barack Obama condanna l’evidente violazione degli accordi e promette inevitabili conseguenze. La Clinton promette: «Difenderemo Corea del Sud e Giappone». Ma fonti della Casa Bianca parlano di situazione fuori controllo. E la condanna del Consiglio di sicurezza dell’Onu e le imminenti nuove sanzioni non basteranno certo a raddrizzarla. Un intervento militare resta, invece, fuori discussione, visti gli arsenali nucleari e le forze convenzionali schierate a un passo dalla frontiera di Seul. A rendere più ardua la ricerca di soluzioni nuove contribuisce la consapevolezza di doversi misurare anche con le ipocrisie di un alleato inaffidabile come Pechino. Molti segnali raccolti dal Pentagono fanno sospettare che la Cina sapesse in anticipo dell’esperimento atomico di lunedì, ma si sia ben guardata sia dall’avvisare Washington, sia dal fermare Pyongyang. Insomma Pechino, seppure coinvolta nelle trattative per il disarmo atomico della Corea del Nord, avrebbe anteposto la «real politik» alle esigenze della sicurezza nel Pacifico.
In attesa di nuove idee dell’amministrazione, la Cia è impegnata in un’accurata analisi delle ultime foto di Kim Jong Il nella speranza d’individuare un decadimento fisico capace di portare alle estreme conseguenze l’ictus della scorsa estate.

Secondo alcune voci proprio i segnali dell’imminente fine potrebbero aver innescato l’aggressività di un «caro leader» preoccupato dalle mosse dei generali impegnati a bloccare il passaggio dei poteri al figlio più giovane Kim Jon.

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