Le Corti islamiche fuggono anche da Mogadiscio

I talebani somali hanno abbandonato Mogadiscio e sono allo sbando. Le milizie fedeli al governo transitorio, con l’appoggio dei carri armati etiopi, hanno preso posizione nei punti nevralgici, ma non sono mancati saccheggi e razzie.
Le Corti islamiche si sono dissolte come neve al sole, grazie agli anziani del loro stesso clan, che hanno intimato ai fondamentalisti di andarsene da Mogadiscio per evitare un bagno di sangue. Ieri mattina una colonna trionfante di truppe governative ha fatto il suo ingresso nella capitale somala passando davanti all’università. Il grosso delle forze etiopi è rimasto in periferia, fuori dalla capitale, per evitare la reazione della popolazione, che non ama i vicini con i quali la Somalia ha combattuto una sanguinosa guerra per il controllo della regione dell’Ogaden. La gente esultava lanciando fiori alle truppe. «Oggi Allah ha rimosso le cosiddette Corti islamiche che usavano la religione per fini personali», ha esultato Rukia Shekeye. «Ho deciso di dare il benvenuto ai governativi. Altre centinaia di persone stanno facendo lo stesso. È una giornata storica», spiegava un abitante della capitale.
In realtà le «truppe» governative sono composte soprattutto da milizie fedeli all’esecutivo, come gli uomini di Hussein Mohammed Aidid, vicepremier e ministro degli Interni, più noto come il figlio del generale che a Mogadiscio mise in scacco gli americani agli inizi degli anni ’90. I governativi hanno preso posizione a Villa Somalia, l’ex palazzo presidenziale, nel porto e nell’aeroporto. Purtroppo non sono mancati saccheggi nelle sedi delle Corti e nelle abitazioni dei capi fondamentalisti. Particolarmente preso di mira l’hotel Ramadan di Haji Abuker Omar Addani, un capo clan alleato delle Corti che è fuggito da Mogadiscio.
A rendere esplosiva la situazione ci hanno pensato i fondamentalisti in fuga abbandonando arsenali e distribuendo armi alla popolazione. «Mogadiscio è nel caos», sono state le ultime parole di sheik Sharif Ahmed, il volto «buono» delle Corti, prima di sparire verso sud.
Non tutti erano felici dell’arrivo dei governativi nella capitale. «Siamo stati sconfitti e quindi ho gettato via l’uniforme. Molti dei miei compagni hanno indossato abiti civili. I nostri leader sono fuggiti e io non sono più un soldato delle Corti islamiche», ha spiegato uno dei giovani indottrinati dai sermoni sulla guerra santa.
Secondo fonti governative, il premier del governo provvisorio somalo, Alì Mohammed Gedi, si sarebbe insediato in serata a Mogadiscio. Il portavoce dell’esecutivo, Abdirahman Dinari, sostiene che il 95% del Paese è liberato. Le milizie islamiche sono allo sbando e in ritirata verso Kisimaio, lo strategico porto del sud. Le truppe etiopi e somale si trovavano ieri a 60 km da Kisimaio e non è escluso che oggi tentino di entrare in città. Nel porto è arroccata la «brigata internazionale» composta da volontari stranieri della guerra santa al comando del famigerato Hassan Turki.
Le Corti islamiche sono durate solo sei mesi, ma adesso il timore è che i resti dei miliziani scatenino un conflitto di guerriglia e terrorismo all’irachena.

Nella boscaglia fra Khuda e Ras Kamboni, l’ex base della marina somala ai tempi del dittatore Siad Barre, si starebbero concentrando le unità più estremiste sopravvissute alle ultime due settimane di combattimenti. Gli stessi fondamentalisti hanno ribattezzato l’area «la Tora Bora somala», come l’ultima ridotta di Osama bin Laden in Afghanistan.

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