"Così don Ruggero è stato incastrato dal suo vice"

Intrighi in una parrocchia di Roma. Un parroco in carcere, accusato di aver molestato sette bambini. Ma ora un testimone rivela: "Quel sacerdote mi chiese di costruire le prove contro di lui". E spuntano precedenti inquietanti: aveva già tentato di infangare altri superiori

"Così don Ruggero è stato incastrato dal suo vice"

«Quel sacerdote aveva il dente avvelenato con il parroco, mi offrì 300 euro per bruciargli la macchina. Io risposi che non facevo certe cose. Lui allora mi offrì un alternativa: "Per la macchina non preoccuparti lo chiederò a quelli di Forza nuova". Tu aiutami a costruire le prove». Sono le parole di una testimonianza chiave raccolte dal Giornale.
Una testimonianza in grado di far luce su ambiguità e contraddizioni della brutta storia di Selva Candida, la parrocchia alla periferia della Capitale epicentro di una vicenda diventata, negli ultimi mesi, la madre di tutte le inchieste giudiziarie su preti e pedofilia.
Al centro della gogna mediatica e giudiziaria c'è Ruggero Conti, il 55enne parroco della chiesa Natività di Maria Santissima in carcere con l'accusa di aver molestato sette delle centinaia di ragazzini passati per la sua parrocchia nell'arco di oltre dieci anni. Ma nella madre di tutte le storie italiane sui preti orchi e pedofili qualcosa non torna. A oltre un anno da quell'arresto don Ruggero Conti continua a godere della fiducia di centinaia di genitori che negli anni gli affidarono i loro figli e continuano a definirlo educatore e prete esemplare. Genitori pronti a dimostrargli solidarietà riunendosi davanti al carcere o ritrovandosi, come lo scorso 17 giugno, nell'aula del Tribunale di Roma in occasione della prima udienza del processo. Quel processo potrebbe far emergere molti retroscena capaci di incrinare le prove e le testimonianze su cui si basano le accuse a don Ruggero. Prove e testimonianze frutto, in gran parte, dell'impegno e della rabbia di don Claudio Peno Brichetto, un ex viceparroco assegnato alla Natività di Maria nel novembre 2005 ed allontanato per volere di don Ruggero Conti a fine 2006. Quell'allontanamento è l'epilogo di mesi di scontri e litigi durante i quali don Brichetto già lavora per raccogliere prove contro il suo superiore. Un’attività conclusasi con la denuncia alla magistratura di don Ruggero Conti.
Una lettera in possesso di Monsignore Gino Reali, vescovo di Porto-Santa Rufina e responsabile della parrocchia, dimostra però che l'azione di don Claudio Brichetto supera i limiti del lecito. In quella lettera, controfirmata e consegnata di persona al cancelliere del vescovo don Roberto Leoni, un testimone riferisce di un incontro in cui don Claudio Brichetto gli chiede di raccoglier prove sulla pedofilia di Conti e gli offre del denaro per bruciare la sua auto.
«Era l'estate del 2006 avevo fatto dei lavoretti per la parrocchia e andai da don Brichetto per discutere il mio compenso. Lui aveva il dente avvelenato con il parroco, mi offrì 300 euro per bruciargli la macchina. Io risposi che non facevo certe cose e allora lui mi offrì un’alternativa. Per la macchina non preoccuparti, lo chiederò a quelli di Forza Nuova, tu aiutami a costruire le prove e a far scrivere "pedofilo" davanti alla parrocchia», racconta al Giornale il testimone che non vuole essere citato sui giornali, ma giura di avere riferito tutto nella lettera a monsignore Gino Reali e di essere pronto a ripeterlo in tribunale. La sua testimonianza sarebbe già nelle mani dei giudici se il vescovo monsignore Gino Reali non avesse ordinato il totale silenzio sulla vicenda.
«Non posso né smentire, né confermare - risponde il cancelliere don Roberto Leoni quando Il Giornale lo chiama al telefono e gli chiede conferma dell'esistenza della lettera -. Purtroppo - chiarisce imbarazzato - i miei superiori mi hanno ordinato di non parlare di questa vicenda». Le paure e le reticenze di monsignor Gino Reali sono in parte comprensibili. Il clamore suscitato dalle accuse al suo parroco hanno già scatenato l'indignazione dell'opinione pubblica, aggiungerci il sospetto di una faida interna e di comportamenti al di là della legalità equivale a mettere altro fango davanti al ventilatore. Anche perché don Claudio Peno Brichetto, il grande accusatore del parroco Ruggero Conti, è una figura alquanto controversa. Secondo monsignore Oliviero Bernasconi, vicario generale della Diocesi di Lugano, i lati oscuri della sua personalità emergono già durante gli anni trascorsi al Seminario di San Carlo nel capoluogo della Svizzera italiana.
La decisione definitiva di non ammettere Claudio Peno Brichetto agli ordini sacri era legata al suo carattere che non dava garanzie di equilibrio ed era pure causa di tensioni interne nella comunità del Seminario soprattutto perché spargeva voci su tendenze omosessuali di suoi compagni - spiega Bernasconi in due lettere scritte tra il 7 e il 14 luglio 2008 in cui spiega la mancata nomina a diacono del Brichetto -. «La situazione era estremamente delicata e quelle accuse hanno occupato il vescovo e i suoi più stretti collaboratori per parecchio tempo, rivelandosi poi del tutto infondate. Un seminarista colpito da queste accuse preferì passare a un Ordine mendicante».
La tendenza del Brichetto ad accusare confratelli e collaboratori si rivela una costante. «Fin dall'inizio non vi è stato un rapporto sereno per il suo modo di essere estremamente bugiardo e sfuggente» racconta don Salvatore Rizzo parroco di Santa Marinella la cittadella del litorale romano dove don Peno Brichetto, appena ordinato sacerdote presta servizio tra il 2000 e il 2002. Anche in quel caso il suo allontanamento viene deciso in seguito alle strane voci diffuse dal sacerdote. «Don Claudio - riferisce don Salvatore Rizzo - aveva chiesto al signor M. C., come mai non mi gambizzava dal momento che mi scopavo sua moglie e lo consigliava, se teneva alla sua dignità, di minacciarmi con la pistola».
Gli strani comportamenti del Peno Brichetto vengono ammessi anche dal prudente vescovo Gino Reali nel corso della deposizione davanti al pubblico ministero Giovanni Scavo dell'1 dicembre 2008. «Per me era, sì, abbastanza inaffidabile. C’è una, diciamo, incompatibilità nella visione pastorale delle cose e nello spirito di collaborazione e nella conduzione appunto unitaria della parrocchia spiega il vescovo ammettendo che nella chiesa della Natività di Maria Santissima si stava ripetendo un po' quello schema già visto precedentemente».
Gli sforzi del vescovo non modificano gli atteggiamenti di don Claudio. «Una volta di punto in bianco, vedendo Ruggero passare da lontano, mi disse che una persona così grassa è "menomata", ha qualcosa di malato - racconterà nelle sue deposizioni Raffaele, un ragazzo assiduo frequentatore della parrocchia della Natività di Maria Santissima -. Lo chiamava "Ciccione" mi diceva che l'avrebbe messo nei guai e gliela avrebbe fatta pagare, perché lo comandava». Nella stessa deposizione resa ai difensori di don Ruggero il ragazzo dipinge il ritratto di un sacerdote dagli interessi poco ortodossi. «Diceva che per entrare in contatto con il mondo dei morti la via migliore è entrare in coma, e spesso si diceva interessato a riti non cristiani come sedute spiritiche e altro. Per questo interruppi i miei rapporti con lui e scrissi una lettera al vescovo di Santa Ruffina».
In quello stesso periodo don Claudio, dimostra come ai tempi del Seminario un morboso interesse per la sessualità dei suoi parrocchiani.


«Già da qualche tempo - racconta suor Maria Dosio in una lettera datata 13 gennaio 2007 - ero venuta a conoscenza del forte disagio che alcuni parrocchiani mi avevano espresso relativamente a domande strane e insistenti che, confidenzialmente, don Claudio faceva loro riguardo alla sfera della sessualità».

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