Così il Giappone si ferma a contemplare i boccioli

Un’onda lunga di fiori di ciliegio, da Sud a Nord. Una «ola» di boccioli in tutte le gradazioni del rosa, fino al bianco. C’è un Paese, il Giappone, che attende la primavera con la stessa trepidazione dell’inizio del millennio. Che ogni volta saluta la nuova stagione in un modo gioioso e universale. Quando sbocciano i fiori di ciliegio (sakura) migliaia di giapponesi interrompono il loro ritmo frenetico per riversarsi nelle strade. Meglio: nei viali dei parchi, a fare festa. Da Ueno a Gyoen, da Sumida a Koishikawa, per citare solo i giardini di Tokyo, i prati sono addobbati da tappeti rossi, il panno «sontuoso» da esibire nei pic-nic. Si mangia cibo tradizionale e si beve sakè fino a ubriacarsi mentre il vento scatena tempeste di petali. I primi ciliegi sbocciano nell’estremo Sud, sull’isola di Okinawa, già in gennaio; man mano, ondeggiando lungo l’arcipelago come una soffice marea rosa, ricoprono l’intero Giappone toccando a maggio la punta più a Nord, capo Soya a Hokkaido. Ma è nel periodo compreso fra il 21 marzo e la prima settimana di aprile che si concentra la fioritura nell’isola principale.
L’«avanzata» dei fiori è annunciata da ogni telegiornale fra i titoli d’apertura, è il «sakura zensen», il fronte dei fiori di ciliegio. Le tivù riportano mappe dettagliate e la percentuale di fiori in ogni singola area. Questo per permettere ai giapponesi di programmare le gite di contemplazione, hanami, la cui tradizione risale al IX secolo. L’arrivo della primavera non segna solo la fine dell’inverno ma anche l’inizio dell’anno scolastico, di quello accademico e di quello finanziario. Insomma, un periodo frenetico e di bilanci. Nonostante tutto professionisti, operai e studenti sospendono i loro impegni e non prendono appuntamenti quando nella loro regione iniziano a sbocciare i ciliegi. Il protagonista del libro «Autostop con Buddha» di Will Ferguson (Feltrinelli) attraversa il Giappone in autostop inseguendo il fronte dei ciliegi. L’occasione «è resa formale in modo bizzarro - racconta -. In quale altro Paese trovereste un promemoria affisso in bacheca nel bar aziendale con su scritto “Tenere pulito il locale. Non dimenticate: oggi dopo il lavoro contemplazione dei fiori di ciliegio”?.
I ciliegi giapponesi sono però diversi dai nostri, ammirati più per i fiori che per i frutti, sono esili e con rami intricati. I botanici contano fino a 400 specie. Le qualità selvatiche e molte di quelle coltivate vantano fiori con cinque petali ma ne esistono alcuni con 10 o 20 petali. Gli scienziati dicono che i sakura sono inodori. Un fiore da solo ha un flebile profumo così leggero da non essere percepito, ma se raccogliete le testimonianze di chi ha assistito almeno a una fioritura saprete che un migliaio di petali che si sollevano mescolandosi nel vento, un profumo, se pur debole e inconfondibile, lo trasmettono. La bellezza dura poco e così i fiori, che tanto velocemente accendono i parchi altrettanto velocemente, si disperdono. Il sakura è stato di volta in volta interpretato come il simbolo della fugacità della giovinezza o della nobiltà dello spirito di sacrificio. Il protagonista del libro capisce soltanto alla fine del viaggio che quello che sta facendo non ha senso: «I sakura sono fatti per essere transitori.

Aggrapparsi a loro è come tentare di aggrapparsi alla giovinezza. Seguire il fronte dei fiori di ciliegio è una negazione del tempo, delle stagioni, persino della mortalità. È come spruzzare lacca su un giglio. Come imbalsamare un miraggio».

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