Così i bianchi hanno messo KO i neri

Klitschko chi? L’avrebbe detto Muhammad Alì. Salvo stenderlo con tre pugni e due finte. Eppure Wladimir Klitschko, campione del mondo dei massimi versione Ibf, è uno dei più accreditati gigantoni di questa epoca e stasera «profanerà» il mitico Madison Square Garden di New York cercando di riunificare un paio di pezzi dell’ormai sbriciolata corona dei pesi massimi. Era dal 1999 che qualcuno non ci provava.
Avendo mascella di vetro (3 sconfitte, 44 ko all’attivo su 52 match) ma un discreto appeal, il nostro si è inventato anche la trovata per rendere più attraente e redditizia la serata. Ha offerto ai tifosi la possibilità di scrivere il loro nome e cognome sull’accappatoio con il quale andrà sul ring. «Così sentirò una carica diversa», ha ammiccato lui, garantendo un certificato di garanzia a chi corrisponderà 199 dollari (135 euro). Invece lo spettacolo sarà garantito in compagnia di Sultan Ibragimov, russo campione Wbo, quasi 33 anni e nessuna sconfitta (17 ko all’attivo su 23 match), una sorta di Joe Frazier bianco, con più classe e meno continuità, tipico prodotto di quel popolo di pugili migratori che viene dall’est e si è assestato fra Germania e Usa.
Sui ring del mondo il vento dell’est soffia forte e attraversa diverse categorie, non solo quella dei massimi. Le classifiche sono impregnate di finali in «aev», «uev», «chis», «imov», «enko». Basta scorrere: nei massimi oggi ci sono campioni bianchi e soltanto qualche nero per caso, esattamente come accadeva fino ai quindici anni fa al contrario. Dopo Gene Tunney, Jack Dempsey e Rocky Marciano, gli americani hanno inseguito a lungo la speranza bianca. Ma da Tommy Morrison a Gene Cooney sono state soltanto figure da film. Oggi, invece, gli affaristi Usa hanno scoperto i biancolatte provenienti dalla Russia e dall’Uzbekistan, dal Kazakistan e dall’Ucraina: l’ucraino Klitschko (corona Ibf), l’uzbeko Ruslan Chagaev (Wba), Oleg Maskaev, russo con cittadinanza Usa (Wbc) e appunto Sultan Ibragimov, uno dei cinque campioni mancini della storia...
E non è finita: dietro di loro il perticone russo Nikolay Valuev, ex campione del mondo che ha rischiato indecorosamente di raggiungere il record d’imbattibilità di Rocky Marciano, il bielorusso Liekhovich, l’ucraino Virchis. Non c’è più Vitaly Klitschko, che poi era il migliore della famiglia. Si sono perse le tracce di Timur Ibragimov, cugino di Sultan ma con cittadinanza uzbeka. Le famiglie spopolano. Secondo «The Ring», la bibbia della boxe, in questa pallida compagnia di gigantoni c’è posto per un solo nero: il nigeriano Samuel Peter, ex calciatore mancato, battuto dal nostro Paolo Vidoz alle Olimpiadi di Sidney. Il curriculum parla da solo.
Insomma se ci guardiamo indietro e andiamo a ripassare le classifiche vien un po’ di scoramento: 50 anni fa il campione era Floyd Patterson, il più giovane campione della storia prima di Tyson. Dieci anni prima Joe Louis, il bombardiere nero alla conclusione della sua storia durata un decennio. Nel ’68 tenne banco Joe Frazier, sul quale si aggirava sempre il fantasma di Clay, coronato fino all’anno prima. Dietro di loro qualche bianco e uno stuolo di neri. Dieci anni dopo si fecero largo Larry Holmes, Ken Norton, Leon Spinks, Ron Lyle. Poi toccò a Mike Tyson ed Evander Holyfield. L’ultima stella prese le sembianze di Lennox Lewis, il miglior giocatore di scacchi sul ring. Tutti i citati avrebbero fatto volare i campioni di oggi. Anche se Holyfield, vecchio e impresentabile, di recente ha perso (ai punti!) proprio con Ibragimnov.
Oggi è boxe delle montagne di cartone, e di pelle bianca.

L’idea avrebbe fatto imbufalire Jack Johnson (torniamo alla preistoria) e Alì, Frazier e Archie Moore, ma pure Tyson e Holyfield, forse Joe Louis che pur è stato amico di un bianco di razza ariana (Max Schmeling) con il quale scatenò, sul ring, una delle battaglie del secolo.
Stanotte al Madison ci sono in palio borse da 15 milioni di dollari ed è questa, forse, l’unica ragione per cui la pelle bianca vale di più.

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