Così Togliatti purgò il discorso di Krusciov

Il «New York Times» pubblicò il rapporto in luglio. «L’Unità» trent’anni dopo...

Così Togliatti purgò il discorso di Krusciov

Poco dopo le ore venti del 6 marzo 1956, Palmiro Togliatti giunse alla stazione di Roma Termini proveniente da Mosca, via Vienna. Nella capitale sovietica aveva partecipato, unico dei capi occidentali, alla seduta segreta, a porte chiuse, della notte del 25 febbraio, durante la quale il tenente-generale Nikita Serghejevic Krusciov, già primo segretario del partito ucraino, aveva pronunziato il discorso contro le «deviazioni del culto della personalità», ovvero contro Stalin.
Lo attendevano alla stazione i capi storici del Pci, Amendola, Pajetta, Negarville, il funzionario Amadesi ed io. Lo avevano accompagnato nel viaggio, come delegati del partito italiano, Scoccimarro, Bufalini, Cacciapuoti e Vittorio Vidali che rappresentava il Territorio libero di Trieste. Appena apertasi la porta del vagone, Togliatti mi passò un foglio di carta e mi disse: dàllo subito ai giornalisti. Era la prima mossa di quella che sarebbe stata una complicata operazione del capo del Pci per guidare e «raddrizzare» la discussione nel partito sul rapporto, come in altra occasione egli ebbe modo di avvertirmi.
«La delegazione italiana», era scritto nella dichiarazione, «è stata molto lieta di avere assistito e partecipato ai lavori del XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Ciò che è avvenuto a Mosca è di tale portata che dominerà la scena politica mondiale per un lungo periodo di tempo. Le menti capaci e gli amici onesti lo hanno già compreso. Gli sciocchi e i venduti latrano e continueranno a latrare, ma di essi la storia non terrà conto». Il 4 luglio successivo avrebbe «latrato» il New York Times, pubblicando il testo integrale del «rapporto segreto» filtrato attraverso i vertici del partito operaio polacco, mentre l’Unità lo avrebbe ignorato per molto tempo.
I delegati italiani erano dunque ignari di quello che Krusciov aveva effettivamente detto nelle sette ore del suo rapporto nell’ultima notte del XX Congresso. L’unica novità eccellente era stata per loro il fatto che Ekaterina Furtseva, segretaria d’organizzazione di Mosca, braccio destro di Krusciov, incaricata del discorso d’apertura del XX Congresso, avesse omesso di citare il nome di Stalin fra i deceduti dall’ultimo congresso. Nella Sala Bianca del Cremlino s’era levato un gran brusìo e Salvatore Cacciapuoti, segretario della Federazione di Napoli, era esploso in una fiorita esclamazione partenopea parlando a bassa voce con il proprio vicino, Bufalini. Peraltro i delegati italiani erano stati colpiti dal fatto che la mattina dopo il rapporto Togliatti era stato sempre occupato a ricevere alti quadri, comandanti militari e capi dei partiti stranieri. Seppi qualche tempo dopo che il segretario italiano aveva dedicato quelle ore d’incertezza e sconcerto a rincuorare gli sbigottiti interlocutori che l’assediavano di domande e che egli aveva tentato di organizzare qualche contromossa all’atteggiamento di Krusciov.
Al Comitato centrale del Pci del 13 marzo, riunito per l’occasione alle Frattocchie, i primi a parlare di Stalin furono Terracini e Amendola. Il primo, con lo stile forbito che gli era proprio, affermò che «le critiche formulate al XX Congresso, hanno e devono avere un carattere autocritico», puntando subito l’indice su una contestazione che mirava in alto, verso Togliatti. Amendola chiese che venissero coraggiosamente rinnovati i metodi di direzione, laddove si riscontravano difetti di caporalismo e indulgenza ai personalismi, ostacolo alla promozione di quadri più freschi e capaci. Alla fine parlò Togliatti. Egli disse che le decisioni del XX Congresso «non possono creare alcun disorientamento nelle nostre file. I temi che sono emersi o emergeranno, noi li discuteremo con serietà e tranquillità per trarre la più profonda conoscenza della nostra dottrina, maggiore capacità di sviluppare la nostra azione, di comprendere la realtà, di adeguarsi ad essa, di lavorare per modificarla. Dal Ventesimo Congresso - concluse - è emerso ancora una volta il grande quadro della società socialista che si organizza dall’Europa fino ai limiti dell’Asia».
La domenica successiva, Cacciapuoti tenne al teatro Mercadante di Napoli la solenne celebrazione del XX Congresso. Disse che fra i maggiori risultati raggiunti in Urss c’era stato l’incremento nell’allevamento dei maiali. Togliatti, intanto, elaborava la sua personale controffensiva contro la denunzia di Krusciov. Egli rilasciò successivamente, il 16 giugno 1956, ad Alberto Moravia e Alberto Carocci, direttori della rivista Nuovi Argomenti, una più articolata intervista politico-sociologica sulle conseguenze del Rapporto, riconfermando che «le degenerazioni verificatesi sotto il potere di Stalin non hanno scalfito la sostanza della democrazia socialista». Nella base del partito vi furono sgomento e costernazione. C’era chi voleva difendere Stalin e se la prendeva con Krusciov considerando calunnie le sue rivelazioni, e chi voleva sapere la verità, tutta la crudele verità.


Intanto ai primi di maggio, il personale docente universitario della Sapienza di Roma, dopo una movimentata riunione in cui qualcuno aveva definito Krusciov un controrivoluzionario, in una lettera ai dirigenti nazionali del Pci chiese una spiegazione marxista degli avvenimenti del periodo staliniano. La lettera venne inviata per la pubblicazione all’Unità, ma la richiesta non fu subito accolta. L’Unità aspettò trent’anni sino al 1986, per una pubblicazione parziale del «rapporto segreto».

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