Cossiga salva il governo

L'ex presidente critica aspramente il decreto sicurezza ma poi col suo voto salva il governo. Dini avverte: la crisi è ormai inevitabile. Berlusconi: minacciati alcuni senatori dell'Unione

Cossiga salva il governo

Roma - Alla fine, dopo una nuova tormentata giornata di incertezza, il governo si salva, per il rotto della cuffia: 160 sì alla fiducia, 158 no. Ancora una volta i senatori a vita sono determinanti, perché fra i senatori elettivi, il duello si chiude con 155 sì, e 157 no. Sul secondo voto della giornata, quello che riguardava il tormentatissimo decreto sulla sicurezza, il dato per il governo è leggermente migliore: 160 sì, 156 no. Queste due maggioranze, in realtà, sono separate da molto di più che da due cifre. In mezzo c’è il travaglio dei cosiddetti «teodem» di Luigi Bobba e di Paola Binetti che dopo aver minacciato fuoco e fiamme contro il decreto per via di alcune norme antidiscriminazione del trattato di Amsterdam, recepite nel testo, alla fine hanno votato sì. La Binetti si è distinta solo sulla fiducia, gli altri due «ribelli» dell’Unione hanno approvato tutto. Ed è per questo, forse, che nel transatlantico di Palazzo Madama, subito dopo il voto, irrompeva un Francesco D’Onofrio quasi entusiasta, il senatore dell’Udc gridava: «Adesso i teodem sono morti, sono dei cadaveri.

È finito un equivoco, ed è finito per giunta, senza coraggio!». E in questo pallottoliere notturno si fanno calcoli dettagliati, e anche recriminatori, c’è chi dice che a salvare il governo sia stato Francesco Cossiga, che ha votato la fiducia - è vero -, ma che ha anche fustigato con il suo sarcasmo la maggioranza, stilando una sorta di certificato di morte politica. Il suo intervento, che suscitava l’ilarità perfino dei colleghi di centrosinistra (vedi il senatore Guido Calvi, diessino, che rideva a crepapelle) era pieno di staffilate per tutti e contro tutti. Ad esempio per i senatori di Rifondazione: «Al mio amico Russo Spena dico: se ti accontenti di un’inutile norma sugli omosessuali avendo già rinunciato allo scalone, e mentre per giunta ti accingi ad ingoiare il provvedimento sul welfare... Be’, se sei contento tu che sei di antiche origini democristiane, perché non dovremmo esserlo noi?». E ancora: «Si fa tutto questo dibattere sul decreto sicurezza, quando il 10 dicembre il consiglio delle Nazioni Unite prenderà decisioni importanti sul Kosovo, quando una possibile dichiarazione di indipendenza, apre lo scenario di tragici conflitti». E Cossiga, il cui voto sarà poi contestato dal leghista Roberto Calderoli in quanto giudicato irregolare, con questo discorso in realtà dà un avvertimento: la maggioranza che si è appena salvata per il rotto della cuffia sulle questioni interne potrebbe tornare a tremare a brevissimo termine, proprio sul nodo dolente della politica estera, che tanti danni creò nell’ottobre del 1998.

E che dire poi, di queste fatidiche «norme antidiscriminazione», che tanto hanno fatto discutere la maggioranza, mentre i senatori si dividevano su questo punto e la Binetti annunciava «c’è il rischio che possano modificare il modello antropologico della nostra società». Nessuno capiva bene che cosa esattamente implicassero queste norme espunte dal decreto Pollastrini, e reintrodotte dalla finestra del decreto sicurezza. Diceva Marcello Pera, ex presidente del Senato: «In realtà oggi si cerca di condannare l’omofobia, per aprire domani la strada al matrimonio omosessuale». Nessuno può dire se sia effettivamente così, l’unica cosa certa è che con il decreto di Amato questi articoli avevano poco o nulla a che vedere. E così Cossiga diceva: «Voto la fiducia al governo, non certo per approvare questa inutile leggina, ma perché il governo non cada, e quindi perché non si apra una crisi che porterebbe alle elezioni». Ma intanto, proprio su quella leggina, il Vaticano si era mosso. E nel pomeriggio maturava anche il voto contrario del senatore Giulio Andreotti sia pure modulato anche con l’astensione. Forse ha ragione Castelli, che ragionava ad alta voce: «l’assenza di Divella è stata determinante, perché ha dato l’impressione alla maggioranza che i nostri ranghi non fossero compatti». Più esplicito Storace: «Quelli che nell’Unione vogliono fare lo scherzetto, al loro governo, hanno rimandato il loro dissenso, ad un’occasione più sicura per colpa del senatore di An».

Alla fine, forse sono vere quasi tutte queste cose, il governo si salva, ma traballa sempre di più. Ad ogni voto di fiducia al Senato si respira un’aria da caduta degli dei, e forse, come osservava beffardo Cossiga, il prossimo ostacolo potrebbe essere proprio sulla politica estera.

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