Covo Riina, il processo a Mori risorge da Santoro

Per il magistrato ci fu favoreggiamento alla mafia, ma «senza dolo»

L’avevo scritto un anno e mezzo fa: «Eppure, ci potete giurare, ritroveremo tutte le ipotesi, le illazioni, le insinuazioni, i veleni nelle motivazioni della sentenza con cui Mori e De Caprio saranno assolti: la verità processuale, diranno, è che non abbiamo potuto provare le accuse, e quindi siamo stati costretti ad assolverli ma la verità reale, quella, come dice Ingroia, «non la sapremo mai». Mori e De Caprio, benché assolti, saranno ancora chiacchierati, insozzati, come in tutti questi anni di indagini a vuoto, basate sul nulla, e di finte richieste di archiviazione fatte apposta per riaprire le indagini il giorno dopo. All’infinito.
Perché così si intende da noi l’obbligatorietà dell’azione penale, e un «pentito» per giustificarla, per permettere di ricominciare ad indagare, è sempre pronto dietro l’angolo. Di falsi pentiti disposti a raccontare ciò che gli inquirenti vogliono sentire, l’antimafia è sempre gravida. E sarà contento Totò Riina: «I carabinieri l’hanno catturato, ma siamo riusciti a sputtanarlo» (Tazebao di Lino Jannuzzi, Panorama, 3 marzo 2005, pag. 87).
E così è stato, così continua ad essere. Il generale Mario Mori e il colonnello Sergio De Caprio, i carabinieri che il 15 gennaio del ’93 catturarono il capo della mafia Totò Riina, sono stati perseguitati e sputtanati per dodici anni, ripetutamente indagati e archiviati, poi rinviati a giudizio per favoreggiamento alla mafia, e finalmente sono stati assolti il 13 febbraio di quest’anno, tredici anni dopo la cattura di Riina. Ma subito dopo l’assoluzione hanno ripreso a chiacchierarli, a insozzarli, a sputtanarli. Finché l’ultimo giovedì, sette mesi dopo l’assoluzione, il pubblico ministero Antonio Ingroia, che ha sostenuto l’accusa nel processo contro Mori e De Caprio, è andato in televisione, ha partecipato in prima persona alla trasmissione di Michele Santoro, ha discettato sul suo stesso processo, e ha spiegato che in sostanza Mori e De Caprio, benché assolti, sono sempre colpevoli, perché «il reato c’è» (ha detto proprio così), ed è sempre favoreggiamento, sia pure senza dolo (ma può essere senza dolo, in buona fede, il favoreggiamento alla mafia?) è stato favoreggiamento semplice, e quindi Mori e De Caprio sono stati assolti soltanto per l’intervenuta prescrizione.
Si era fatto delle illusioni il generale Mori: «Ho atteso questo processo con impazienza - aveva detto nell’aula del tribunale di Palermo - perché ritengo che potrà mettere fine a più di dodici anni di linciaggio mediatico, sviluppatosi attraverso un’interrotta serie di articoli di stampa, libri, servizi televisivi, ricostruzioni più demenziali che fantasiose, tutte frutto di pseudo verità filtrate chissà come, ma con tempestività e costanza singolari dal segreto investigativo...».
Questa volta non c’è stato nemmeno bisogno di farle «filtrare» dal segreto investigativo le pseudo verità, è andato di persona Antonio Ingroia a spifferarle in video. Del resto, Ingroia che la verità processuale non è la verità reale, che il tribunale può decidere che il reato non c’è stato, ma nella realtà c’è stato, l’aveva già preannunciato, quando a sorpresa il giudice per l’indagine preliminare l’aveva costretto a fare il processo. Ingroia aveva detto: «È sicuramente un fatto senza precedenti, non solo a Palermo ma credo anche in Italia. Non so come dovremo andare avanti. Per noi sarebbe difficile andare a rappresentare un’accusa alla quale non crediamo...». Ma subito aggiunse: «Faremo il possibile, ma quale che sia la verità processuale che verrà accertata, la verità reale non la sapremo mai...».
Perché volevano indagarli sempre, e farlo sapere, ma mai processarli, non avendo le prove per farli condannare. Solo nel 1997, quattro anni dopo la cattura di Riina, i pm di Giancarlo Caselli decisero di indagare sul covo di Riina, che è stato perquisito solo 19 giorni dopo la cattura. E soltanto il 27 novembre di quell’anno aprirono un fascicolo «contro ignoti». Passarono altri sette anni e soltanto il 18 marzo del 2004 Mori e De Caprio diventarono «noti» e verranno scritti con i loro nomi nel registro degli indagati. Ma non faranno in tempo ad essere diventati noti e ad essere iscritti nel registro degli indagati che il 24 marzo, appena sei giorni dopo, i pm chiedono l’archiviazione delle indagini. «Ma perché avete indagato per tanti anni contro ignoti - chiede in udienza l’avvocato di Mori - se sapevate che a catturare Riina e a non andare subito nel covo erano stati il generale Mori e il capitano “Ultimo”, alias De Caprio?». «Perché non avevamo la certezza che a catturare Riina erano stati veramente loro», gli risponde Ingroia. «E perché ci avete creduto sette anni dopo e dopo sei giorni avete subito chiesto l’archiviazione?». E che bisogno c’era, se avevate già deciso di chiedere l’archiviazione, di scrivere quei nomi all’ultimo momento e solo per sei giorni?
È stato solo per farne parlare i giornali, per insozzare e per sputtanare, per «mascariare», tingere di carbone Mori e De Caprio. E, ottenuta l’archiviazione, hanno riaperto l’inchiesta e l’hanno portata avanti per due anni, il massimo consentito, e hanno richiesta l’archiviazione. E, ottenutala, di nuovo hanno riaperto l’inchiesta e hanno richiesta l’archiviazione per la terza volta. Ma questa volta il giudice per le indagini preliminari l’archiviazione non gliel’ha concessa: non si può continuare così, gli ha detto, se noi archiviamo e poi voi riaprite le indagini e ogni volta, nel chiedere l’archiviazione, gettate sospetti e censure sugli indagati, andiamo al processo e portate le prove, così finalmente costoro saranno condannati oppure assolti, e non se ne parlerà più. Un altro illuso questo gip. Li hanno processati, li hanno assolti, ma il pm Ingroia è andato di persona ad accusarli di nuovo e ad infamarli dinanzi alla Cassazione di Michele Santoro. E bisogna riconoscere che è un record. Finora la gente veniva accusata, infamata e condannata prima di essere processata.

Con Ingroia e Santoro Mori e De Caprio sono stati accusati e infamati e condannati dopo essere stati processati e assolti. E in un colpo solo Ingroia ha superato e polverizzato la fama di Di Pietro e di Borrelli, della Boccassini e di Caselli. Ci sarà capace di fare meglio di lui?
Linonline.it

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