Il crac del San Raffaele, spunta il tesoro segreto

Fondi neri per 800 milioni. I pm: "Gestiti da un’associazione criminale". Arrestato l’ex direttore Valsecchi

Il crac del San Raffaele,  spunta il tesoro segreto

Milano Un’accusa e una cifra che fanno tremare i polsi. L’accusa: «il sistema San Raffaele, una associazione per delinquere». La cifra: ottocento milioni di euro, soldi fregati dai conti dell’ospedale e svaniti (per ora) nel nulla. La nuova puntata della fosca saga giudiziaria dell’ospedale creato da don Luigi Verzè va in scena ieri mattina, quando in una casa di Como si prepara la Guardia di finanza ad arrestare Mario Valsecchi, per una vita direttore amministrativo della Fondazione Monte Tabor, la holding che controlla l’ospedale e le sue attività.

Più della Fondazione, a controllare l’ospedale per la Procura di Monza era un sodalizio criminale: Valsecchi finisce in carcere non solo per bancarotta fraudolenta ma anche per l’articolo 416 del codice penale, associazione per delinquere. Uguale accusa si vede consegnare Pierangelo Daccò, l’imprenditore dai mille conti e dai mille avatar, che aiutava a fare sparire i quattrini del San Raffaele. Ma più di Valsecchi e più di Daccò, due figure si stagliano nel cupo scenario evocato dall’ordine di custodia. Una è quella di Mario Cal, il vicepresidente morto suicida il 18 luglio, che per gli inquirenti della banda era il «capo e il promotore».

L’altra è quella di don Verzè, padre fondatore e nume tutelare, oggi vecchio e malato, ricoverato nel suo stesso ospedale. Verzè (stranamente, si potrebbe dire) non fa parte dell’elenco compilato dai pm dei membri della associazione criminale. Ma il suo nome ricorre a ogni riga: «Cal non faceva nulla di importante che Verzè ignorasse», dice un testimone.

Per lunghe settimane, Mario Valsecchi ha cercato di tirarsi di impicci, scaricando su altri - e in particolare sullo scomparso Cal - la responsabilità delle porcherie che la Procura andava scoprendo. Ma altre testimoniane e altri documenti lo hanno incastrato. «Valsecchi è stato il braccio destro di Cal rivestendo tutti i ruoli che una simile funzione criminale implicava», si legge nel mandato d’arresto: gestiva i conti del nero, riceveva le buste con i contanti destinate a Verzè e a Cal. Ad alimentare i fondi neri, quel 5 per cento - poi ridotto al 3 - che il costruttore di fiducia di Verzè, Pierino Zammarchi, restituiva su ogni commessa. Ma l’obolo fisso di Zammarchi non basta a costruire quell’Everest di fondi neri - ottocento milioni! - di cui parla la Procura.

Resta inesplorata la domanda di fondo: dove andavano i soldi? Probabilmente lo sapeva Cal, ma non è più in grado di raccontarlo. Forse lo sa Verzè, che in una sua lettera accorata si è detto pronto ad assumersi la responsabilità di tutto. «Servono per mandare avanti la baracca», diceva Cal a chi assisteva ai assaggi di quattrini, «a fare funzionare il San Raffaele». Ma l’ordine di custodia eseguito ieri mattina aiuta a capire che la vera storia del San Raffaele è ancora più complessa di quanto si poteva immaginare, e che pare incrociare altri misteri italiani.
Il passaggio chiave è nel capo d’accusa relativo ad una società che si chiama Harmann. È verso la Harmann che escono tanti dei fondi del San Raffaele. Ma cos’è, la Harmann? Sede a Vienna, al 4 di Boerseplatz.

Ad amministrarla è un signore di nome Erno Horvath. Cosa fa, la Harmann? Ufficialmente si occupa di «recupero crediti nei paesi emergenti». In pratica, si occupa di risolvere i problemi del San Raffaele in giro per il mondo, nei paesi toccati dai progetti di don Verzè: «Gerusalemme, Uganda, Cile, Ghana, Mozambico», recita il mandato. Nel terzo mondo, purtroppo, spesso i problemi si risolvono a colpi di tangenti. Serviva a quello, la Harmann?

Di certo, c’è che l’indirizzo della misteriosa società ha fatto suonare dei campanelli nella testa degli investigatori.

Perché un socio di Horvath, Manfredi Hischmann, è stato arrestato per riciclaggio nell’ambito dell’indagine Italease, uno dei casi più gravi della vita italiana alla finanza creativa. E in Boerseplatz a Vienna approdavano una parte dei fondi neri di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle. Coincidenze?

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