Sono due le questioni - gravi - venute a galla nella vicenda della base di Vicenza che riguardano la maggioranza di governo, la sua ispirazione e i suoi comportamenti. La prima, istituzionale, è relativa all'attendibilità internazionale del governo; la seconda, culturale e sociale, si riferisce all'anti-americanismo e al populismo di importanti settori della sinistra.
C'è da chiedersi cosa sarebbe accaduto se non fossero positivamente intervenuti la moral suasion del presidente Napolitano e la responsabilità del ministro Amato. La formula usata da Prodi - «il governo non si oppone» -, oltre che ipocrita, è avvilente per un presidente del Consiglio che dovrebbe assumersi a testa alta le responsabilità internazionali senza ricorrere ad escamotage come la riduzione del rapporto con gli Stati Uniti a «problema di natura urbanistico-territoriale». Questa è un'Italia piccola piccola.
La verità è che una sostanziale componente del governo, di cui Prodi è prigioniero, non digerisce l'Alleanza atlantica e quel che ha significato nella Repubblica. Come Nenni e Togliatti nel 1949, i massimalisti, allora filosovietici e oggi no-global, presenti in tre partiti (Rc, Pdci, Verdi) e mezzo (Ds) continuano a demonizzare la Nato, incapaci di riconoscerla come l'unica sede in cui si elaborano - certo con l'egemonia Usa: ma come potrebbe essere altrimenti? - le strategie politiche, diplomatiche e quindi militari dell'Occidente.
Siamo in molti ad auspicare per l'Unione Europea un ruolo più incisivo sui grandi problemi internazionali (terrorismo, sicurezza, energia), ma, allo stato, si tratta di buone intenzioni a cui non corrispondono realtà politiche alternative agli Stati Uniti. Né si possono scambiare per politica estera e di sicurezza dell'Europa gli orientamenti gaulliani e anti-americani dei francesi.
Riemergono poi, ancora una volta, le vecchie pulsioni pacifiste e anti-americaniste del popolo di sinistra. Anche oggi, con i massimalisti al governo, la storia si ripete: che c'entra il corretto mantenimento degli accordi internazionali con la critica a Bush, con le lobby delle armi e del petrolio, con le bombe atomiche della Nato, e con tante altre argomentazioni speciose invocate contro il raddoppio della base di Vicenza? È un autorevole editorialista della Repubblica, Paolo Galimberti, a definire tutto ciò «antiamericanismo aprioristico e immotivato».
Ma, ancora più grave della piazza, a me pare la richiesta di un referendum vicentino da parte del segretario ds Fassino e del ministro della Difesa Parisi con l'obiettivo di decidere su Ederle-2, un progetto già approvato dal governo e dal consiglio comunale della città. L'Italia populista in cui ogni villaggio può bloccare importanti decisioni di interesse nazionale e di portata internazionale, ed in cui qualsiasi Tar può mettere in crisi risoluzioni di esecutivi, diviene una nazione destinata allo sfascio.
Qui non sosteniamo l'indiscutibilità del modo in cui, nel Duemila dopo la fine del bipolarismo, l'Italia deve stare dentro l'Alleanza atlantica e il suo rapporto con l'Unione europea. Affermiamo solo che sarebbe più responsabile per le istituzioni mettersi al riparo dai populismi d'ogni genere, e confermare che il Parlamento è la sede per discutere e prendere le grandi decisioni del Paese, possibilmente in maniera bipartisan.
Ma il governo ormai è sotto scacco, per esempio con le minacce sull'Afghanistan. Se continuasse ad accettare il ricatto permanente dei massimalisti, l'orizzonte per gli italiani diventerebbe ancora più oscuro di quanto lo sia oggi.
m.teodori@mclink.it
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