La crociata di "Repubblica" ha avvelenato la democrazia

Un’aggressione fondata su spionaggio e moralismo: nulla resterà come prima La campagna d’odio contro il premier rende il Paese meno laico e meno libero

Forse Ezio Mauro e Beppe D’Avanzo non se ne rendono conto ma stanno avvelenando i pozzi. Dopo questa torbida campagna stampa niente resterà come prima. La scena italiana sarà mutata una volta per sempre e i veleni propagati in queste settimane saranno più dannosi del fumo di Chernobyl. Cercherò di elencare freddamente i danni collaterali della campagna stampa di Repubblica soprattutto dopo che l’Espresso ha trascritto e pubblicato le registrazioni della signora D’Addario. A differenza di D’Avanzo non appesantirò questi pezzo di inutili citazioni colte, ma trarrò da un’antica dimestichezza con i testi classici delle cultura politica democratica gli elementi per raccontare quanto costa e costerà questa campagna di stampa.
Primo danno. È in discussione in Parlamento la legge sulle intercettazioni telefoniche. C’è uno scontro aspro fra maggioranza e opposizione attorno alle limitazioni introdotte dalla proposta del governo. Il capo dello Stato è intervenuto più volte, persino martedì, per sollecitare un dialogo che consenta di approvare una buona legge. Per fare una buona legge occorre che vi sia un clima adeguato e che nessuna delle parti si senta minacciata. Nel provvedimento che il Parlamento sta discutendo vi sono norme che riguardano la pubblicazione di atti per i quali vige il segreto istruttorio e sono previste sanzioni assai severe (non approvo l’idea della detenzione per i giornalisti) per chi pubblica documenti che violino il segreto istruttorio. Il tema di fondo è se vi sia una sfera privata che debba essere severamente tutelata oppure no. I fautori di un ammorbidimento delle norme sostengono che esistono già nell’ordinamento sanzioni adeguate. È del tutto evidente che la recente svolta impressa dal gruppo De Benedetti rafforzerà l’altra tesi, quella di chi pretende maggiori tutele e garanzie. La trattativa riparte in salita. Questo è un danno a breve, ce ne sono altri che vivranno nel tempo.

Secondo danno. Stanno cambiando le regole della politica e della vita pubblica. Lo spionaggio diventerà l’arma suprema della battaglia politica e delle guerre industriali e finanziarie. Tutto ciò che finora era stato disapprovato ora diventerà legittimo. Per decenni ci siamo battuti contro la politica dei dossier. I servizi segreti sono stati più volte smantellati per aver raccolto informazioni indebite sulla vita degli uomini pubblici. Recentemente è stata decapitata la sicurezza della Telecom per aver dato vita a un sistema di spionaggio parallelo. Per lustri è stata messa al bando la stampa scandalistica che alludeva a vicende private e sollecitava morbose curiosità sulle abitudini sessuali dei potenti. C’era un’Italia rispettabile che sapeva fare diga contro l’uso abnorme delle informazioni illecitamente raccolte. La trasparenza degli uomini pubblici richiedeva anche la trasparenza della battaglia politica che andava condotta con mezzi leciti e legali. La campagna dei giornali del gruppo De Benedetti ha rovesciato e buttato per aria tutta questa tradizione democratica elevando a sistema la rivelazione truffaldinamente recuperata. Mi chiedo come si potrà fare politica e affari in un paese in cui una cimice o un registratore possono prendere il posto di una trattativa alla luce del sole, di un braccio di ferro, dello scontro di idee. Vi fidereste di un paese che non conosce limiti all’indagine sulla vita personale di uomini pubblici: politici, giornalisti, funzionari, imprenditori, banchieri e ambasciatori?

Terzo danno. Viviamo in Italia e non a Teheran o Riyad. Abbiamo per anni contestato ogni intervento della Chiesa cattolica che ci sembrava invadere il campo della sfera privata. Nelle grande battaglia per il divorzio il mondo laico-democratico aveva sconfitto la pretesa di una parte del mondo cattolico di dettare regole erga omnes attorno ai comportamenti privati. La politica aveva saputo nel nostro paese trovare una linea di confine fra le dure battaglie e il rispetto della vita personale degli avversari. Ogni volta che qualcuno aveva cercato di superare questa sottile linea di frontiera era stato contestato vivacemente. L’intera stampa italiana si scandalizzò durante gli anni di Clinton per il moralismo bacchettone dei repubblicani nella vicenda Lewinsky. Faceva a tutti un certo ribrezzo l’uso delle informazioni sulla vita personale come arma di demolizione di un personaggio pubblico. Con la campagna di Repubblica il moralismo è diventato uno dei tratti fondativi di una nuova sinistra al punto da spingerla a presentare una mozione per sindacare la vita privata degli uomini pubblici. Gli ayatollah non avrebbero saputo fare meglio.

Quarto danno. La battaglia distruttiva contro Berlusconi alimenterà una nuova campagna anti italiana. In Francia non sarebbe possibile. Qui da noi c’è una parte della pubblicistica, della politica e della pubblica opinione che si rinfranca quando il paese viene sottoposto al dileggio. Abbiamo fatto appena in tempo a incassare gli elogi sul G8 che torneremo sulle prime pagine dei giornali stranieri per le storie di escort.

Quinto danno. La sinistra italiana esce stravolta da questa vicenda. L’abbiamo già scritto. Per la prima volta è un giornale a prendere la guida della battaglia politica per imporre i temi su cui l’opposizione deve lavorare. La sinistra laica e riformista non ha avuto il coraggio di sottrarsi a questa deriva. Impaurita per la potente scesa in campo di tutta la corazzata De Benedetti e galvanizzata da un rigurgito antiberlusconiano, la sinistra italiana non ha trovato il coraggio per dire di no allo spionaggio, al moralismo, al bacchettonismo dilagante. L’argomento principe è che il premier è indifendibile perché certe frequentazioni lo esponevano al ricatto.

Il ricatto è quello che si sta sviluppando in questi giorni a mezzo stampa nel tentativo di modificare il corso della legislatura con armi improprie. Dopo queste settimane, l’Italia è un paese un po’ meno laico e siamo tutti un po’ meno liberi.

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