Maltrattava i figli con la scusa dello Shabbat: a processo "padre padrone"

Il 50enne, nato in Israele ma residente a Roma, ha imposto un clima di terrore in casa per 21 anni. L'accusa: "condotte prevaricatrici, violenze e minacce ai figli"

Maltrattava i figli con la scusa dello Shabbat: a processo "padre padrone"

Per ben 21 anni, dal 1997 al 2018, il "padre padrone" avrebbe imposto un clima di terrore in casa vessando la moglie e i figli con la scusa dello Shabbat. È quanto emerge dall'impianto accusatorio formulato a carico di un 50enne israeliano, residente a Roma, imputato davanti al tribunale capitolino per il reato di maltrattamenti familiari. Un'ipotesi suffragata da una notevole mole di episodi finiti agli atti del processo che avrà luogo nei prossimi giorni. "Condotte prevaricatrici, violenze e minacce", si legge nel capo d'imputazione rilanciato sull'edizione cartacea de Il Messaggero.

Il "padre padrone"

Le vessazioni sarebbero cominciate dopo la nascita del primogenito. Secondo l'accusa, il 50enne avrebbe strumentalizzato lo Shabbat - il rituale ebraico - per soggiogare i familiari "impedendo loro in occasione del sabato e di altre festività ebraiche di usare il telefono, - ricostruisce la Procura - di uscire di casa, di guardare la televisione, in contraddizione con il fatto che lui stesso si recava al lavoro, e di seguire un regime alimentare rigido". Non solo. Il "padre padrone" avrebbe proibito ai figli (un maschio e una femmina) di incontrare i parenti e "di partecipare ai consueti incontri con i parenti materni in occasione di festività cattoliche, ai matrimoni di alcuni cugini della moglie e alla celebrazione delle nozze d'oro della nonna materna".

21 anni di maltrattamenti

I maltrattamenti, protratti per ben 21 anni, sarebbero stati tali che, ad ogni mero tentativo di reazione da parte delle vittime, il 50enne avrebbe reagito "tirando calci e pugni a mobili e pareti" e "scagliando oggetti contro di loro". Ai figli sarebbe stato vietato anche di partecipare ad attività sportive e i rimproveri "anche solo per non aver tenuto una corretta postura a tavola" avrebbe cagionato "uno stato di terrore in casa". Al punto che la secondogenita, per la paura di aver rovesciato un pacco di riso sul pavimento, una volta si era fatta pipì addosso. Il 17 settembre del 2018, riporta Il Messaggero, avrebbe minacciato di morte il figlio maschio: "Ti ammazzo", gli avrebbe detto.

La gelosia nei confronti della moglie

Le presunte vessazioni nei confronti della moglie, dalla quale si è separato nel 2014, sarebbero comincia con "con manifestazioni costanti ed esasperanti di gelosia, - si legge nel capo d'imputazione - sottoponendola al controllo del telefono e delle buste paga. Inoltre le avrebbe impedito di uscire con amiche e colleghe "per il sospetto che questi fossero pretesti per incontrare amanti". La donna era obbligata anche "a un abbigliamento rispettoso dei propri canoni di 'moralità', quali gonne non troppo corte e scollature poco pronunciate; incolpandola di provocare l'attenzione di soggetti maschili con il suo abbigliamento e il suo modo di fare".

Dopo la separazione, non sarebbero mancate le minacce alla ex coniuge: "Te la faccio pagare", le avrebbe detto nel corso di una telefonata. Se le accuse dovessero essere confermate, il 50enne rischia fino a sette anni di carcere.

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