Il "tacco di Allah" e il grande amore (mai sbocciato) dell’Inter

Nel 1988 il fuoriclasse algerino Rabah Madjer fa le visite mediche a Milano, ma per un sospetto problema al ginocchio viene rispedito in Portogallo. Cronaca di una grande storia d'amore mai sbocciata

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Abituati ai pantagruelici mercati morattiani, abbiamo quasi disimparato a pensare che l’Inter possa non aver comprato un calciatore. Eppure, nella longeva storia nerazzurra, è accaduto in più d’un caso. E in questo, segnatamente, non si trattava certo di un giocatore qualsiasi. Qui siamo in presenza di un fenomeno. Dell’estro salito per acclamazione diretta al potere. Fuori le generalità, dunque: Rabah Madjer. Per tutti, “Il tacco di Allah”. Un rimpianto con la “R” maiuscola per la Beneamata.

Un prestigiatore africano nel ventre d’Europa

Per risalire all’origine di questa dolente sliding door urge tornare ad Algeri, dove Madjer nasce, nel 1958. Attaccante tecnico, rapido, imprevedibile, cresce nel NA Hussein Dey prima di emigrare in Europa, in Francia, dove si mette in luce con la maglia del Racing Club de Paris. Ma è in Portogallo, con il Porto, che svolterà decisamente la sua carriera: nel 1987, nella finale di Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco, segna il celebre gol di tacco – da cui nascerà il suo soprannome – e regala ai portoghesi la vittoria per 2-1, la prima nella storia del club.

Quel gesto iconico, che disinstalla le certezze bavaresi, viene eseguito con leggerezza disarmante e lo consacra nel pantheon dei grandi del calcio internazionale. Il fatto è che spesso il tacco è un ammennicolo fuffoso: invece, in questo caso, oltre che bello da vedere era pure decisivo. Istinto, tecnica pura, audacia. Il marchio di un campione.

L'Inter e l'affare mai decollato

Dopo l’impresa europea col Porto, nel 1988 Madjer è all’apice della sua carriera. L’Inter, fresca di un progetto ambizioso sotto la guida di Giovanni Trapattoni, è alla ricerca di un colpo internazionale per instillare profondità e classe al proprio reparto offensivo. I dirigenti nerazzurri si muovono con decisione, e chiudono l’accordo con il Porto per portare Rabah a Milano.

Tutto sembra fatto: Madjer arriva in Italia, si sottopone alle visite mediche, posa persino con la maglia nerazzurra. La stampa lo celebra come il colpo esotico e di qualità che può fare la differenza. Ma qualcosa va storto. Durante i test fisici, l’Inter individua un problema al ginocchio del giocatore. I medici non sono convinti dalle sue condizioni, e la società, temendo un investimento a rischio, decide clamorosamente di annullare il trasferimento. Tutto questo è reso ancoa più sferzante dal fatto che Rabah posi con la maglia nerazzurra e che venga rimandato a Porto soltanto venti giorni dopo i test fisici.

È il luglio del 1988. Madjer, deluso e amareggiato, torna al Porto. Per l’Inter, che in quella stagione vincerà comunque lo scudetto dei record con Trapattoni, non sembra la fine del mondo. Ma col tempo, la mancata esplosione di alcuni giocatori e il bisogno di un talento con le sue caratteristiche farà crescere il rimpianto.

Cosa avrebbe potuto essere

Madjer, all’epoca 30enne, non era certo più un virgulto da scoprire, ma un fuoriclasse affermato. Era munito di visione, tecnica, intelligenza tattica e un repertorio di colpi circensi. In una squadra come l’Inter, già forte e compatta, avrebbe potuto essere quella imprevedibile scintilla necessaria per smantellare le difese più ostinate. E invece, per una diagnosi forse troppo severa, il sogno nerazzurro svanì.

Per una sorte beffarda, Madjer continuerà a segnare e a incantare ancora con la maglia del Porto, prima di concludere la carriera nel suo Paese d’origine. L’Inter, invece, non riuscirà a capitalizzare lo slancio dello scudetto 1988-89 in ambito internazionale, restando a bocca asciutta in Europa per diversi anni.

Una leggenda in patria

In Algeria, Madjer è ancora oggi considerato molto più di un calciatore: è un’icona nazionale, un simbolo dell’orgoglio sportivo nazionale. È stato anche commissario tecnico della Nazionale in diverse occasioni e resta tuttora uno dei personaggi più influenti del calcio nordafricano. La sua classe ha ispirato generazioni di talenti e il suo nome continua ad evocare quel tocco divino che una sera di maggio regalò al Porto la coppa dalle orecchie sporgenti.

Il grande rimpianto nerazzurro

Madjer non ha mai indossato ufficialmente la maglia dell’Inter, non ha mai giocato una partita in nerazzurro, eppure il suo nome resta inciso nella storia del club, sotto la voce “clamorosa occasione mancata”. In un frangente in cui il calcio africano era ancora poco valorizzato in Europa, Madjer rappresentava una scommessa vincente, un talento già pronto, forse soltanto parzialmente incompreso.

A distanza di decenni, la sua storia resta un monito:

il calcio non è solo questione di numeri, esami medici o statistiche. È anche intuizione, rischio, e la capacità di credere nei sogni. E forse, proprio per questo, Rabah Madjer resta il più poetico dei rimpianti interisti.

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