Mappavano Roma e Milano per gli 007 russi: cosa facevano gli infiltrati italiani di Putin

Due soggetti sono stati arrestati con l'accusa di corruzione aggravata, commessa per finalità di terrorismo ed eversione. Volevano fornire le cam ai tassisiti per procurari dati sensibili ai russi

Mappavano Roma e Milano per gli 007 russi: cosa facevano gli infiltrati italiani di Putin
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Una nuova inchiesta preoccupa l'intelligence italiana. La procura di Milano ha chiuso le indagini e indagato due imprenditori monzesi di 34 e 60 anni, che risulterebbero essere al soldo dei servizi di Mosca dai primi mesi del 2023 ed erano basati nell'alta Lombardia. A loro carico ci sono accuse per corruzione aggravata, in quanto commessa per finalità di terrorismo ed eversione. Dall'indagine è emerso che i due hanno ricevuto il compenso in criptovaluta da parte dei servizi di Mosca per mappare i sistemi di video sorveglianza di Milano e Roma, mostrando particolare attenzione alle aree non coperte da telecamere, e ottenere così informazioni riservate.

Nei documenti preparati dalla procura di legge che i due "si erano fatti promotori di una collaborazione con i servizi di intelligence russi, al fine di fornire informazioni di natura sensibile". Le indagini sono iniziate lo scorso aprile e sono nate a seguito di una complessa attività investigativa condotta dal Ros di Milano, in collaborazione con la Sezione criptovalute del comando carabinieri Antifalsificazione monetaria di Roma. Durante quell'indagine "sono stati riscontrati l'adescamento, da parte di soggetti russi, e la successiva corrispondenza sul canale 'telegram', tra loro e i due indagati, che, dietro compenso in criptovalute, si prestavano a reperire documentazione classificata, fotografie di installazioni militari e informazioni su tecnici specializzati nel campo dei droni e della sicurezza elettronica". Il contatto dei due soggetti sarebbe una presunta spia dell'Fsb e sono loro che avrebbero contattato direttamente i servizi russi via mail per poi iniziare un rapporto con un sedicente agente.

Ma c'è di più, perché nel corso dell'indagine è emerso anche che i due stavano lavorando per proporre ai tassisti delle cooperative di Milano l'installazione, a titolo gratuito, delle dashcam di bordo. Avevano preparato un "business plan" e l'obiettivo finale, non dichiarato ai tassisti, era quello di affidare la gestione dei dati così ottenuti agli apparati russi, che ne avrebbero potuto estrarre i dati sensibili, utilizzabili per molteplici scopi. Basti pensare a quante persone diverse i tassisti caricano a bordo ogni giorno, tra cui anche militari e soggetti sensibili, che si fanno accompagnare presso le proprie abitazioni o presso i luoghi di lavoro. Il sistema è stato interrotto ma al momento non è stato reso noto se ci siano a Milano dei taxi in circolazione con le dashcam fornite dai russi.

Il fine della ricerca rivolta ai due imprenditori pro Putin, spiega un inquirente, appare più come "un'attività di spionaggio", ossia raccolta di informazioni privilegiate per un "controllo del territorio" che sarebbe potuto tornare in qualche modo utile. Secondo quanto acquisito nelle perquisizioni, i due "hanno un atteggiamento conto l'Ucraina e contro la politica occidentale" di sostegno alla causa di Volodymyr Zelensky e per ragioni anche "politiche", più che economiche, avrebbero accettato le richieste di fornire informazioni e foto di obiettivi anche sensibili. Non ci sono elementi che provino che siano riusciti ad entrare nei sistemi di video sorveglianza pubblica ma sono tanti i punti ancora oscuri dell'inchiesta, mentre i pm di Milano, che non hanno chiesto l'arresto per i due uomini, si stanno coordinando in queste ore con la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo.

In alcuni casi sarebbero state commissionate ai due soci delle "missioni" quasi impossibili come l'avvicinamento obiettivi o "installazioni militari", scrive il ROS, e siti sensibili per fotografarli. In altri casi si trattava di target banali, ad esempio luoghi normalmente accessibili al pubblico o facilmente visibili con ricerche Google. Come si trattasse di "test", ipotizzano i magistrati.

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