
Non sappiamo dare un giudizio su Alice Weidel, la leader di Afd, il partito arrivato secondo domenica in Germania. Di politica capiamo poco. Ma capiamo poco anche di giornalismo, evidentemente. Perché non riusciamo a capire come mai i titoli della Stampa di sinistra (Stampa con la maiuscola) è due giorni che definiscono Alice Weidel «una leader lesbica». Ora, sia chiaro: rivendichiamo il diritto di usare il termine «lesbica», eccome; e non lo consideriamo certo un insulto.
Però bisogna mettersi d'accordo. Se un giornale che si è fatto paladino dei diritti Lgbtq decide di usare la parola «lesbica» è meglio che non lo faccia con quella punta di disprezzo che si percepisce fra le righe tipografiche. E soprattutto: se lo usa con un avversario politico, lo deve usare anche con un politico amico. Invece su quello stesso giornale non abbiamo mai letto che Elly Schlein è lesbica. Semmai che è «fluida», o «arcobaleno», o che «ama un'altra donna»... Scusate: ma qual è la differenza fra Weidel e Schlein? Sono entrambe «una leader lesbica che vive in Svizzera». Ah, già: no. È vero. La Schlein non è una leader.
Insomma, siamo alle solite.
Se un politico è di sinistra prevale il linguisticamente corretto; se è di destra si può specificare l'orientamento sessuale; anche con un pizzico di astio. E così «lesbica» passa da categoria protetta a categoria reietta.E per fortuna che Alice Weidel non è un maschio ed è arrivata solo seconda. Sennò il titolo sarebbe diventato «Culattone!».
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