Il saluto romano non è reato. Non c'è stato alcun pericolo di riorganizzare il partito fascista

I giudici avevano assolto 24 militanti di estrema destra per aver commemorato l'omicidio Ramelli

Il saluto romano non è reato. Non c'è stato alcun pericolo di riorganizzare il partito fascista
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Dalle fila dei neofascisti schierati partì un grido «Camerata Ramelli», e mille braccia si alzarono nel saluto romano rispondendo «Presente». Era il 29 aprile 2019, anniversario dell'uccisione dello studente diciassettenne milanese Sergio Ramelli da parte di una squadra di sprangatori dell'ultrasinistra. Ora ventiquattro militanti neofascisti indagati per quel «Presente» vengono assolti in blocco dal tribunale di Milano: «La chiamata del Presente" ed il saluto romano - scrive il giudice Mariolina Panasiti - ben lungi dal costituire condotta potenzialmente idonea alla ricostituzione del disciolto partito fascista aveva solo valenza di omaggio e di ricordo del giovane trucidato per le sue idee politiche».

La sentenza di ieri è l'ultima di una lunga, altalenante serie di decisioni della magistratura su episodi analoghi compiuti ogni anno a Milano e in altre località. Ed è una decisione destinata a essere un punto di non ritorno, perché è la prima che applica nel concreto il principio stabilito l'anno scorso dalle Sezioni Unite della Cassazione. Il reato di manifestazione fascista, dice la Cassazione, esiste solo se comporta un pericolo concreto di ricostituzione del partito di Mussolini, disciolto nel 1943. Se questo pericolo non c'è, allora prevale il diritto di tutti i cittadini a manifestare il loro pensiero e le loro idee.

Per escludere che i cortei milanesi preparassero la resurrezione del partito, il giudice Panasiti usa un criterio empirico: «Il gesto è stato ripetuto solo nelle sue modalità classiche, tipiche, conosciute, sempre declinate negli anni, senza nulla di diverso ed aggiuntivo rispetto alle manifestazioni poste in essere in altre occasioni, che non hanno portato ad alcuna ricostituzione del Partito Fascista». Quindi non c'è nessun buon motivo per impedire che continuino a tenersi.

Si tratta d'altronde, sottolinea la sentenza, del tributo alla vittima del «barbaro assassinio» di «un giovane Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù (l'organizzazione giovanile del Movimento sociale, ndr) mai definito come organizzazione di natura terroristica». In tale contesto, «il richiamo alla simbologia tipica del movimento al quale il giovane assassinato apparteneva non è elemento che riveste una valenza di richiamo al Partito fascista ma solo a quella della militanza politica del giovane ucciso, che ha costituito l'abbietto motivo ed il movente del suo barbaro assassinio». Un delitto, ricorda il giudice, commesso da «un gruppo di giovani appartenenti a quella che all'epoca veniva definita sinistra extraparlamentare" legata alla formazione terroristica Avanguardia Operaia».

Pertanto, conclude il giudice Panasiti, «difettano elementi concreti che consentano di affermare che la chiamata del Presente" ed il saluto romano realizzati dai numerosissimi partecipanti realizzino un effettivo e vero pericolo di ricostituzione del partito fascista, per la concreta incapacità di tali rituali - unica condotta posta in essere - ad evocare, emulare e realizzare le caratteristiche di un partito fascista modellate su quello disciolto per disposizione costituzionale».

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