"Anche fosse stata suora...". Parla il giudice della sentenza choc su Carol

Ha fatto molto discutere la sentenza di condanna a 30 anni di reclusione per l'assassino di Carol Maltesi. Il giudice spiega perché non sono state riconosciute le aggravanti: "In senso tecnico-giuridico il movente non è abietto o futile"

"Anche fosse stata suora...". Parla il giudice della sentenza choc su Carol
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"Non è che ogni processo per un grave delitto debba finire con l'ergastolo". Lo dice forte e chiaro il presidente della Corte d'Assise di Busto Arsizio, Giuseppe Fazio, che con la giudice a latere e i sei popolari (di cui tre donne), ha scritto la sentenza di condanna per l'assassino di Carol Maltesi, la 26enne brutalmente uccisa in un appartamento a Rescaldina nel gennaio del 2019. Una sentenza che, al netto del linguaggio tecnico-giuridico, ha suscito sgomento e indignazione. "Sono allibito, è il contrario di quello che abbiamo scritto", spiega il magistrato al Corriere della Sera.

"Nessuno sterotipo di genere"

Nelle motivazioni della sentenza i giudici hanno scritto che Carol era "una ragazza disinibita" e Davide Fontana, il killer, "perdutamente innamorato di lei". Parole che "stonano", secondo l'opinione comune, con l'efferatezza del delitto: la 26enne fu colpita a martellate, sgozzata, smembrata e poi i resti gettati in un dirupo. "Sono convinto di non aver mancato di rispetto a nessuno, - spiega il giudice - e non sarebbe stato diverso se la ragazza avesse fatto la suora anziché l’attrice. Se non si capisce ciò che abbiamo scritto, è senz’altro un problema mio: ma anche chi legittimamente critica le motivazioni dovrebbe prima leggerle nella loro concatenazione su concetti giuridici che hanno significato diverso rispetto alla Treccani".

Il movente

Per la Corte d'Assise di Busto Arsizio Davide il movente dell'omicidio non fu la gelosia ma la consapevolezza del killer "di perdere la donna amata". "Dal punto di vista dell’imputato (così abbiamo scritto), valutando soggettivamente la sua condotta (l’abbiamo sottolineato), - spiega il magistrato Giuseppe Fazio -è stato il motivo/movente dell’omicidio: ma se è così, non è 'abietto o futile' in senso tecnico-giuridico, oltre a non poter essere ritenuto più turpe di ogni altro movente di un delitto così cruento".

Le aggravanti (non riconosciute) al killer

I giudici hanno escluso le aggravanti delle crudeltà e della premeditazione riconoscendo all'imputato, ex bancario e aspirante foodblogger, le attenuanti generiche. Carol fu colpita con 30 martellate in testa "che non è quella certa quota di crudeltà insita in ogni delitto cruento, ma per la giurisprudenza deve essere l’infliggere un male aggiuntivo e gratuito rispetto alla 'normalità causale' del delitto - precisa il giudice -e qui per noi non c’era, non si può fare l’errore di desumere l’aggravante della crudeltà dal successivo raccapricciante scempio fatto sul cadavere".

"Trent'anni non sono pochi"

La procura aveva chiesto che Davide Fontana fosse condannato all'ergastolo. Diversa la posizione della Corte d'Assise che ha deciso di infliggere all'assassino di Carol una pena a trent'anni di reclusione. "Non è che ogni processo per un grave delitto debba finire con un ergastolo.

Qui abbiano fissato la pena base nel massimo dell’omicidio semplice, 24 anni; - conclude il magistrato - e aggiunto il massimo della pena per lo scempio del cadavere, 7 anni più 3 di continuazione. Fanno 34 anni, ma il tetto massimo di legge è 30".

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