Biden "tifa" per Trump: perché la mossa può essere un boomerang

La comunicazione del presidente Biden è molto cambiata negli ultimi giorni, soprattutto dopo il risultato dei caucus in Iowa che lo ha portato a "riconoscere" il suo avversario ufficiale

Biden "tifa" per Trump: perché la mossa può essere un boomerang

A poche ore dal risultato storico di Donald Trump nei caucus dell'Iowa, il presidente Joe Biden ha spiazzato tutti con un lapidario "Lo sfidante sarà lui", riconoscendo ora e per sempre il suo acerrimo rivale. Un po' come quando la notte elettorale, il candidato perdente, accertato che la fortuna sta sorridendo all'avversario, riconosce la vittoria del suo sfidante. Con una differenza abissale: le primarie sono appena cominciate e novembre è ancora lontano.

Biden riconosce Trump: perchè?

L'affermazione di Biden può risuonare in maniera differente se si analizzano a fondo le parole che ha utilizzato per l'avversario: si potrebbe derubricare il caso a scivolone, un'approssimazione verbale alle quali ha-suo malgrado-abituato il suo pubblico; oppure potrebbe trattarsi di una precisa strategia di comunicazione studiata a tavolino. Riconoscere l'avversario all'improvviso, ribaltando il tavolo e la prospettiva tessuta fino a oggi: ovvero la tesi secondo cui Trump avrebbe dovuto essere fermato perchè indegno di quella carica che si appresta a pretendere nuovamente. Un sottinteso che la Casa Bianca ha perseguito in occasione di ognuno dei suoi appuntamenti della saga giudiziaria personale del tycoon, e che buona parte dell'elettorato dem ha sperato potesse essere condizione sufficiente per escluderlo dalla corsa alla Casa Bianca.

Una tesi sostenuta, poi, da quegli Stati che - in autonomia, secondo le proprie leggi - hanno deciso di escluderlo dalla corsa per le primarie perché ritenuto incandidabile in virtù del Quattordicesimo emendamento. Evidentemente, qualcuno a Pennsylvania Avenue deve aver convinto il primo cittadino d'America che spendere energie a combattere il nemico rischia soltanto di renderlo più potente: questo soprattutto se l'epopea giudiziaria legata ai fatti di Capitol Hill dovesse riconoscerlo come innocente. Questo priverebbe i dem della più grande arma che possiedono contro l'avversario, più che un programma ben definito. Perché se una cosa è certa è che nessuno, al momento, ha sentito parlare troppo di programmi elettorali (il che non stupisce comunque, nel carrozzone elettorale made in Usa).

Come è cambiata la comunicazione di Biden

Per chi mastica le basi della Critical Discourse Analysis applicata alla politica è apparso immediatamente chiaro il cambio di registro del presidente Biden dopo la notte elettorale in Iowa. Un comunicato succinto affidato a X-Ex Twitter-in cui, in poche frasi-è riassunta la strategia da perseguire da qui in poi e che sgombra il campo da qualunque altra ipotesi.

Quello che si nota è l'immediata creazione della cesura tra il "noi" e il "voi", la riproduzione della dicotomia amico/nemico tanto cara a Carl Schmitt. Un aspetto tipico dell'oratoria politica, a destra come a sinistra, che consente di galvanizzare un "popolo" accendendone il senso di appartenenza, nonostante un "popolo di BIden" non sia mai esistito realmente. Un elemento insolito nell'oratoria di Biden, da sempre connaturata da uno stile piatto, sebbene ascrivibile alla tradizione liberal. Basti pensare al suo discorso di insediamento, ove non mancarono gli accenti tradizionali dell'oratoria progressista: un sermone laico esortativo più che esplicativo di un programma, un discorso patriottico ma non nazionalista. A parte un paio di occasioni in grande spolvero, come il discorso alla Nazioni Unite (settembre 2022) o a Varsavia (febbraio 2023), lo stile comunicativo del presidente Usa non ha mai regalato acme indimenticabili, tensione emotiva et similia.

Ora, però, che l'anno elettorale è iniziato, occorre far leva sul meccanismo manicheo del "noi" e "loro", della lotta del bene contro il male, che nella logica democratica adesso contrappone Biden e i suoi elettori ("you and me") contro gli estremisti del MAGA. Un punto che regala due chiarimenti: primo, il tradizionale meccanismo di de-responsabilizzazione politica che implica che il candidato Biden non possa fare tutto da solo, ma che l'altra metà dell'onere è in mano agli elettori, assieme al destino della nazione intera, soffiando sul fuoco delle paure degli elettori democratici, agitando l'avversario come spauracchio.

Dopo i caucus di lunedì scorso, infatti, numerosi democratici si sarebbero convinti che Trump possa essere il miglior candidato contro Biden, perché talmente tossico e polarizzante da trascinare al voto indipendenti e democratici delusi; il secondo, ci informa che la lotta è contro gli estremisti MAGA, o trumpiani che dir si voglia: Biden - o i suoi spin doctors - stanno lasciando la porta aperta agli indecisi, ai Repubblicani pentiti, ai franchi tiratori nei dixiecrats, agli elettori d'opinione. Ciò che si vuole scatenare non è una contrapposizione netta con il Gop, ove albergano numerosi anti-Trump, ma con il mondo eversivo dell'America first che si è palesato a Capitol Hill tre anni fa.

I rischi della mossa di Biden

Quanto è rischiosa, e forse fuori luogo, la mossa di Biden nei confronti di Trump? Indirettamente, potrebbe infatti galvanizzare gli elettori. "Benedicendo" l'avversario, infatti, Biden gli sta riconoscendo una legittimità che lo rimette in corsa dall'alto, riaffidandogli credibilità e dignità, soprattutto presso i Repubblicani indecisi che potrebbero, di fronte a questo gesto, sentirsi legittimati a credere nel candidato Trump. E ancora, negli elettori delusi che potrebbero avvertire il riconoscimento come uno sprone a non "sprecare" il proprio voto su Haley o DeSantis, dirigendo il proprio voto utile su Trump. Il gesto, tuttavia, conterrebbe in sè anche un elemento fortemente antidemocratico: riconoscendo in Trump il suo futuro avversario, Biden mette le mani avanti, blindando così un processo democratico ancora tutto in divenire (almeno fino a marzo) e i cui esiti possiedono ancora un margine, anche se ridottissimo. Così facendo, Biden ha bollato come inutili tutti gli sforzi dell'elettorato coinvolto nelle primarie post-Iowa.

Venendo al piano giudiziario, Biden e le sue affermazioni eserciterebbero una sorta di moral suasion non voluta sull'apparato giudiziario americano. Il riconoscimento di Trump come frontrunner Gop, infatti, potrebbe inibire il sistema giudiziario americano a compiere alcun passo che possa estromettere The Donald dalla corsa verso la presidenza, quasi come se avesse ricevuto l'imprimatur a gareggiare dal presidente stesso. Se invece i casi giudiziari di Trump dovessero nel prossimo futuro (e prima di novembre) inibirne la corsa (la prima udienza per i fatti di Capitol HIll è fissata al 4 marzo, ma potrebbe slittare), si tratterebbe di una presa di posizione anche contro il riconoscimento di Biden, in un garbuglio politico-giudiziario inestricabile.

Ergo, se il presidente Biden aveva a lungo

battuto sull'indegnità del candidato Trump, quasi ignorandolo, ora lo ha legittimato a rientrare in gara. Esponendosi a una sfida ancora più ardua: dimostrare di essere migliore di lui agli occhi di un'America divisa e delusa.

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