Iron Dome, cos'è e come funziona la "cupola di ferro" che protegge Israele

Iron Dome è il sistema di difesa aerea sviluppato da Israele nel 2007. Un complesso meccanismo efficace quasi al 90% fino ad oggi ma che, sabato scorso, è stato sovraccaricato dai razzi di Hamas

Iron Dome, cos'è e come funziona la "cupola di ferro" che protegge Israele

Iron Dome, letteralmente "cupola di ferro", è lo strumento che protegge Israele. Si tratta del sistema di difesa aerea che il Paese ha messo in campo dopo la seconda guerra del Libano nel 2006, in risposta alla pioggia di razzi Katjusa scatenata da Hezbollah. Attivato nel 2007, ha il compito fondamentale di intercettare razzi e colpi di mortaio sparati da distanze relativamente ravvicinate da parte dei Paesi ostili che circondano i confini israeliano o dalla striscia di Gaza.

Progettato senza il supporto di Washington, il progetto prese piede nel 2007 per volontà del ministro della Difesa Amir Peretz e venne sviluppato la Rafael Advanced Defense Systems israeliana. Dal 2011, invece, Iron Dome è diventato un progetto cofinanziato dall'alleato americano attraverso la Raytheon Company, l'azienda americana specializzata in sistemi di difesa, fusasi dal 2020 con la United Technologies, dando vita alla Raytheon Tecnologies. Il supporto americano al sistema di difesa fa parte di un pacchetto di aiuti militari che ammonta a 38 miliardi di dollari per il periodo 2019-2028.

Il funzionamento di Iron Dome

Il sistema è pressoché semplice ed è basato sulla triade radar-centro di controllo-lanciatore sparamissili (solitamente di tipo "Tamir"). Il radar (EL/M-2084 Multi-mission, svuluppato dalla israeliana Delta) rileva una minaccia a una distanza tra i 4 e i 70 km di distanza prevedendone traiettoria e obiettivo (e, dunque, punto di impatto). Queste informazioni vengono rapidamente inviate al centro di controllo (il cosiddetto Bmc: Battle and Weapons Management Control, della mPrest Systems, sempre israeliana) che ha il compito di elaborarle per fare previsioni e attivare la risposta. Questa giunge dal lanciatore, che attiva e spara un missile per intercettare la minaccia e distruggerla.

L'Iron Dome, oltre ad avere scopo difensivo/offensivo, ha anche come ratio quella di risparmiare colpi: per questa ragione è in grado di distinguere la risposta da fornire a seconda della traiettoria dei colpi del nemico. Se il colpo sparato contro il cielo di Israele minaccia un centro abitato, è pronto ad attivare la risposta; viceversa, se il proiettile nemico è destinato (per errore o per scelta) ad aree disabitate, trattiene fuoco per risparmiare "cartucce", il che risulta molto utile quando si è sotto attacco massiccio. Il sistema prevede la presenza di batterie mobili (dovrebbero essere almeno dieci nel Paese), ognuna delle quali composta da 3/4 lanciarazzi in grado di coprire e difendere un'area di circa 150 km quadrati.

Iron Dome, tuttavia, non è un sistema infallibile. Le sue percentuali di successo viaggiano tra l'84 e il 90%, ma l'intero meccanismo ha bisogno di essere continuamente adatto per uno scenario complesso come quello israeliano. Parte delle sue falle sono legate ai tempi di ricarica delle batterie di lancio (è un problema atavico in tutte le guerre) nonostante preveda un tempo di reazione di circa 15-40 secondi. Ma in caso di attacchi massicci diventa complesso gestire decine e decine di risposte simultaneamente, il che lo rende fallibile soprattutto nelle aree urbane nei pressi della striscia di Gaza.

Come Hamas ha violato Iron Dome

A questo punto è logico chiedersi come e perché il sistema Iron Dome abbia fallito in occasione dell'attacco da parte di Hamas di sabato scorso. L'episodio degli scorsi giorni è il tipico esempio di come un agguato di quella portata generi una saturazione del centro di controllo. Nel corso degli anni, sebbene si sia cercato un continuo perfezionamento del meccanismo, anche Hamas e Hezbollah hanno imparato a conoscere meglio Iron Dome, studiando le sue falle per poterle sfruttare al meglio, soprattutto all'indomani dell'ultima fiammata in loco nel 2021. Hamas utilizza dei veri e propri sbarramenti di fuoco in un nuovo modo, teso a testare e sopraffare la difesa aerea israeliana, arrivando a lanciare fino a 140 razzi in pochissimi minuti. La strategia dello scorso 6 ottobre è stata essenzialmente questa, lanciando migliaia di razzi in appena 20 minuti. Quanto basta a far impazzire Iron Dome. Un attacco senza precedenti, che ha permesso alle forze di Hamas di arrivare a lambire Tel Aviv e la periferia di Gerusalemme, che fino a pochi giorni fa sollevano sentirsi protette dalla "cupola di ferro".

L'attacco non è solo militare, ma svela anche un sottotesto finanziario: far sprecare "cartucce" al nemico. I Qassam, infatti, hanno un costo per niente comparabile a quello dei missili intercettori di Iron Dome, il cui prezzo può arrivare fino a 55mila dollari (50 milioni di dollari è invece il costo stimato di una batteria).

I primi, invece, si assemblano in banali garage, mixando tubature industriali, esplosivo commerciale, carburante fatto con zucchero e fertilizzante al nitrato di potassio. Costo stimato per un Qassam: trai i 300 e gli 800 dollari.

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