Pakistan, un ragazzo cristiano di 24 anni condannato a morte per blasfemia

Nel Paese torna alla ribalta la discussa legge sulla blasfemia, considerata da più parti come una norma voluta per perseguitare i cristiani: vittima questa volta un ragazzo che aveva ricevuto una vignetta satirica su Whatsapp

Pakistan, un ragazzo cristiano di 24 anni condannato a morte per blasfemia
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Il Pakistan è l'unico Stato al mondo nato per accogliere cittadini di fede musulmana: qui nel 1947 hanno trovato la propria dimora gran parte degli indiani musulmani, i quali da quel momento in poi hanno intrapreso un percorso storico diverso dalla restante parte del subcontinente indiano. Il suo fondatore, Ali Jinnah, aveva pensato a un Paese sì dalla forte impronta islamica ma al tempo stesso anche laico. Negli anni qualcosa in tal senso, però, è andato storto.

Oggi il Pakistan vive sotto la costante pressione dei gruppi fondamentalisti e dagli anni '80 esiste una controversa norma nel suo ordinamento che è causa di persecuzione per le minoranze religiose. Si tratta della legge 295C, nota come "legge sulla blasfemia". Nei casi più estremi è prevista la pena di morte e, quasi sempre, i casi più estremi hanno riguardato dei cristiani. L'ultima vittima si chiama Nouman Asghar, ragazzo cristiano di 24 anni: nelle scorse ore un giudice del Punjab lo ha infatti punito con la pena capitale.

Il caso di Nouman Asghar

Nouman è un ragazzo che, come molti suoi coetanei in Pakistan e in tante altre parti del mondo, ogni giorno trascorre del tempo sui social. Nel 2019, all'interno di un gruppo Whatsapp, un suo amico ha condiviso un meme: una vignetta satirica che raffigurava Maometto. A ricevere l'immagine sono stati Nouman e un altro suo amico, anch'egli cristiano, Sunny Mushtaq. I due ragazzi quindi non hanno né ideato e né diffuso la vignetta, stando alla ricostruzione della difesa. L'immagine è stata inviata sul loro smartphone da un altro coetaneo, Bilal Ahmad.

La polizia di Bahawalpur, cittadina della regione del Punjab dove vivono i tre ragazzi, è venuta a conoscenza della presenza di una vignetta considerata blasfema e ha quindi sequestrato i cellulari di Nouman e Sunny, arrestando poco dopo i due giovani. Per loro è scattata subito l'accusa di violazione della legge 295C. Da allora il calvario giudiziario ha assunto aspetti sempre più drammatici.

Il processo è stato molto veloce e si è concluso nello scorso mese di gennaio. Ma la sentenza è stata letta soltanto nelle scorse ore. Il giudice del tribunale di primo grado di Bahawalpur ha emesso la condanna a morte per blasfemia e vilipendio della figura di Maometto per Nouman Asghar. I difensori e le associazioni che stanno seguendo il caso temono che a breve una medesima condanna sarà inferta anche a Sunny Mushtaq. Nessuna azione invece è stata intrapesa contro colui che ha inviato l'immagine. Anche questo, secondo difensori e attivisti, è un segno dell'uso strumentale contro i cristiani della legge 295C. Bilal Ahmad è infatti musulmano e pur avendo un ruolo importante nella vicenda non è stato raggiunto dall'indagine.

"Sono stati arrestati per un gioco tra adolescenti - ha dichiarato a Fides l'avvocato Aneeqa Maria Anthony, della Ong "The Voice" - Le loro famiglie stanno soffrendo molto. Il nostro team legale di The Voice sta mettendo tutto l'impegno necessario a garantire loro giustizia, aiutando le loro famiglie e restando al loro fianco in questi tempi bui e difficili".

Sarà a breve presentato un ricorso, ma l'impressione è che ancora una volta la difesa di cittadini cristiani in Pakistan è destinata a diventare una lunga partita in salita. "Questo è un altro esempio di uso improprio delle leggi sulla blasfemia", ha aggiunto nelle sue dichiarazioni l'avvocato dell'Ong.

Una vicenda che ricorda da vicino il caso di Asia Bibi

Non è la prima volta che in Pakistan si registrano episodi del genere. Ha suscitato molto scalpore nel 2009 l'arresto di Asia Bibi, giovane cristiana accusata di aver offeso Maometto durante un litigio con altre donne del suo villaggio. Un'accusa apparsa già all'epoca strumentale, ritirata in parte da chi ha presentato la denuncia. Eppure la sfortunata protagonista di quella vicenda è rimasta in carcere per otto anni.

Chi però aveva preso le sue difese è stato in seguito ucciso. Tra questi anche esponenti politici musulmani della sua regione, contro cui si è accanita la furia dei gruppi fondamentalisti. Condannata a morte nel 2010, il processo si è in seguito dilungato grazie alle pressioni di diversi esponenti della società civile pakistana. Il Paese in quell'occasione si è profondamente spaccato: da un lato chi ha premuto per il rilascio di Asia Bibi, dall'altra chi ha continuato a minacciare familiari e difensori della donna. Nel 2015 la prima svolta: la Corte Suprema in quell'anno ha sospeso l'esecuzione della pena.

Ma sono dovuti passare altri tre anni affinché la stessa Corte assolvesse definitivamente Asia Bibi.

Anche dopo il rilascio, molti fondamentalisti hanno continuato a minacciare i giudici e a tenere in ostaggio il Paese. Da quel caso evidentemente poco è cambiato: oggi una nuova condanna a morte, ancora con la stessa accusa e ancora al termine di un processo basato su una legge molto controversa.

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