Un altro nome da tenere a mente. Un’altra donna che ha detto «no» all’oppressione del regime teocratico dell’Iran. Si chiamava Arezoo Khavari, aveva 16 anni e ieri si è tolta la vita lanciandosi da un palazzo dopo le incessanti molestie subite per la sua decisione di vestirsi liberamente, rifiutando l’hijab islamico obbligatorio nel suo Paese.
Un’altra «pazza», probabilmente, per gli ayatollah, per la loro polizia morale e per chi, in Occidente, prende per buona la versione del regime islamista. La sua storia la racconta Masih Alinejad, giornalista, dissidente, esule negli Usa, volto simbolo di un popolo che non si arrende all’oppressione e all’apartheid di genere.
Alinejad descrive Arezoo come l’ultima di una lunga serie di donne uccise dalla violenza del potere teocratico e della sua «polizia morale». «Si è tragicamente tolta la vita gettandosi da un edificio - spiega - dopo essere stata rimandata indietro da una gita scolastica per aver violato il dress code indossando jeans invece dell'uniforme prescritta». «Il padre addolorato - prosegue - ha rivelato che non si è trattato di un incidente isolato; Arezoo aveva dovuto affrontare ripetute molestie da parte della scuola per il suo abbigliamento e per la sua inosservanza della politica obbligatoria dell'hijab. L'anno scorso la scuola ha quasi rifiutato di iscriverla». Dopo la sua morte, il padre avrebbe presentato una denuncia formale contro le autorità scolastiche. L’accusa è di negligenza ma anche di avere tenuto, dopo, un atteggiamento sprezzante e insensibile, in particolare per non aver espresso in alcun modo le condoglianze e per essersi disinteressate dell’«incidente». «Una fonte attendibile - rivela Alinejad - mi ha riferito che (Arezzo, ndr) è stata minacciata di espulsione dopo che il vicepreside della scuola ha consegnato al preside un video in cui ballava senza hijab, per ottenere provvedimenti disciplinari».
Il tragico caso di Arezoo arriva a due giorni di distanza da quello di Ahou Daryaei, la studentessa di Letteratura francese dell'università Azad di Teheran, che è diventata un simbolo globale di libertà per la sua scelta di restare seminuda di fronte alla facoltà, spogliandosi dei vestiti per protesta dopo aver subito - a quanto risulta - le violenze e le percosse della «polizia morale» che intendeva redarguirla e obbligarla a rispettare il codice d’abbigliamento previsto: il solito velo con cui lo Stato opprime, a forza, le donne, un tempo libere, dell’Iran. La studentessa è stata portata via e da quanto si sa viene sottoposta a cure psichiatriche. A suo carico non è stato aperto un caso in tribunale - la versione del regime - perché «è una questione sociale più che di sicurezza».
Questo è quanto ha affermato la portavoce del governo iraniano, Fatemeh Mohajerani, ribadendo la narrazione della «pazzia» che serve a nascondere, sotto una coltre di bugie e violenza, un movimento fortissimo di ribellione, che è esploso dopo l’uccisione di Mahsa Amini e che ora cova, indomabile, sotto la cenere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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