Sono gli angeli dell'inferno di Nembro. Un inferno di 11mila anime all'entrata della Val Seriana dove il contagio sta facendo strage. Qui Covid-19 ha già ucciso 120 persone. Qui 150 malati relegati in casa combattono una solitaria battaglia contro l'epidemia. Qui le affissioni funerarie occupano quelli che un tempo erano colorati cartelloni pubblicitari. Ma gli angeli non mollano.
Da quando è iniziato il flagello e il sindaco Claudio Cancelli, colpito dal virus, ha dovuto chiudersi in quarantena, i volontari hanno preso in mano la situazione. Portano pasti e medicine ad anziani e malati costretti in casa. Accompagnano all'ospedale chi non può, pena la vita, rinunciare alla dialisi. Rispondono a domande e dubbi dei concittadini dalle linee del centralino organizzato dentro il Comune. Sono un centinaio in tutto ma come racconta l'assessore ai lavori pubblici Matteo Morbi, 43 anni, «potrebbero essere il doppio perché quando abbiamo aperto le iscrizioni erano così tanti che abbiamo dovuto fermarne la metà». Chi lavora con gli angeli non ha, invece, il tempo di fermarsi. Né di preoccuparsi. L'assessore è il primo a saperlo. Anche oggi, come altre tre volte alla settimana, deve correre dai malati che lo aspettano per raggiungere l'ospedale di Gazzaniga a nove chilometri di distanza. La sua non è una missione né facile, né sicura. Il signor Mario, chiamiamolo così per la privacy, ci aspetta in sedie a rotelle e mascherina all'uscita dell'unità sanitaria. Non soffre soltanto di reni. Da settimane è positivo al Coronavirus. Davanti a casa si sforza di raggiungere l'entrata con le proprie gambe, ma dopo qualche passo gli manca il fiato, ondeggia, barcolla, si aggrappa alla cancellata mentre Matteo lo abbraccia e lo sorregge incurante del contatto. «Abbiamo chiesto aiuto alla prefettura, ma nessuno ci ha dato una mano - spiega Matteo - così ogni volta me lo carico sull'auto del Comune e me lo porto a casa pregando che mascherina e guanti bastino a difendermi. Ho paura e so di rischiare, ma non posso lasciarlo morire». Le parole di Matteo sono il refrain che anima ciascuno di questi angeli. «Ho perso uno zio all'inizio del contagio, un altro è morto poco dopo, ma proprio per questo non mi posso fermare», spiega la 32enne Sara Bergamelli. Prima insegnava nelle scuole elementari della cittadina, ora veste la tuta nera e gialla della protezione civile e passa le giornate facendo la spola tra la farmacia e le abitazioni di anziani e malati dove recapita pastiglie, iniezioni e bombole d'ossigeno.
Ma l'organizzazione del suo lavoro inizia dalle sale del comune. Qui con sindaco ammalato e giunta in quarantena l'unico ufficio sempre in funzione è il centralino dai volontari. Il telefono nascosto da bottiglie di alcool e disinfettanti trilla senza sosta. Ma Nadia, una libera professionista convertitasi in voce amica di Nembro ha risposte e consigli per tutti, da chi vuole sapere come pagare la polizza dell'auto scaduta, al figlio lontano decisosi ad iscrivere la madre, rimasta sola, al servizio di recapito dei pasti. In quest'ultimo caso la palla passa a Carlo e Massimo, un autista e un cameriere che ogni giorno consegnano 52 fra pranzi e cene ad anziani e malati. «Certo abbiamo paura - confessa Carlo - ma dormirei peggio sapendo di aver abbandonato i compaesani». L'orgoglio generoso e schivo di queste valli si nasconde dietro le mura della ditta che da settimane cuce gratuitamente i tessuti, regalati da un'altra azienda locale, per trasformarli in mascherine sanitarie. L'impresa però è farselo raccontare. «Fuori di qui! Non voglio pubblicità, né giornalisti - questo non è lavoro, questo è un dono per i miei concittadini e voglio farlo di nascosto», ringhia il titolare mentre ci spinge fuori dal laboratorio dove moglie e figlio ritagliano e cuciono rettangoli di tessuto protettivo. «Non ha i marchi Cee, ma è sempre meglio di un fazzoletto o di una sciarpa. E certamente meglio del nulla che arriva dall'Europa o dal governo», sottolinea Matteo mentre carica in auto due scatolini colmi di preziose protezioni.
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