Scarcerare il killer di Nadia è arbitrio, altro che giustizia

Nadia Orlando fu strangolata lo scorso 31 luglio dal fidanzato

Scarcerare il killer di Nadia è arbitrio, altro che giustizia

«Come un pugno allo stomaco», così i genitori di Nadia commentano la notizia della scarcerazione dell'assassino reo confesso della figlia. È un pugno allo stomaco, non solo per loro. Accade non di rado che certe decisioni giudiziarie ci paiano difficili da spiegare e da comprendere, talvolta indecifrabili. Tuttavia, l'oscurità di taluni pronunciamenti diventa intollerabile quando c'è di mezzo la storia di una ragazza barbaramente uccisa all'età di 21 anni. Non sono trascorsi ancora due mesi da quel 31 luglio in cui Francesco Mazzega passa a prendere in auto la fidanzata nei pressi di Lignano Sabbiadoro. All'indomani l'uomo 35enne si costituisce presso la sede della Polizia stradale di Palmanova: «Temo di aver commesso un omicidio», dice agli agenti prima di confessare l'omicidio. Il corpo esanime di Nadia giace sul posto a fianco del guidatore. Mazzega racconta di averla strangolata, forse la gelosia all'origine del delitto. Soltanto il processo, con il dibattimento in cui si forma la prova attraverso il confronto tra accusa e difesa, potrà stabilire l'entità della pena da scontare. L'uomo deve rispondere di omicidio volontario aggravato da futili motivi.

Lungi da noi emettere verdetti preventivi, va da sé che l'imputazione è di quelle gravi, Mazzega rischia l'ergastolo. Risulta perciò incomprensibile la decisione di concedere gli arresti domiciliari. «C'è rabbia e sgomento, ma non rassegnazione», fa sapere Fabio Gasparini, avvocato della famiglia: «I genitori e il fratello di Nadia continuano ad avere fiducia nella giustizia nonostante questa inspiegabile decisione. Ciò nella speranza e nella convinzione che al termine dell'iter giudiziario ci possa essere una giusta pena nei confronti di un soggetto che con un gesto orrendo e vigliacco ha ucciso Nadia e, di conseguenza, un'intera comunità.

Lo strazio dei familiari è pure il nostro, la scarcerazione di un assassino reo confesso fa a pugni con il più elementare senso di giustizia. Il procuratore di Udine Antonio De Nicolo annuncia il ricorso per Cassazione sottolineando che l'ordinanza del Riesame, che ha spalancato le porte del carcere, «mette in evidenza che il fatto è gravissimo e ravvisa il pericolo che possa ripetere fatti del genere. I giudici però scrivono anche che il rischio è sufficientemente salvaguardato dagli arresti domiciliari integrati dal braccialetto elettronico». E braccialetto sia, nel paese dove le storie di carcerazioni preventive spropositatamente lunghe, e arbitrarie, abbondano. Pensate soltanto a Luca Gramazio, ex consigliere in Campidoglio, processato e condannato per corruzione in Mafia Capitale, ha scontato oltre due anni dietro le sbarre in attesa di giudizio.

Pochi giorni fa è tornata in libertà Francesca Maria Occhionero, accusata di cyberspionaggio e finita a processo insieme al fratello Giulio (che invece resta dietro le sbarre da presunto innocente).

I crimini informatici sono cosa diversa dai reati di sangue, Francesca si protesta innocente, eppure nel suo caso un gip ha ritenuto che le esigenze cautelari giustificassero la misura cautelare più afflittiva, il carcere, tenendola per ben otto mesi reclusa a Rebibbia. Extrema ratio, a volte orba di ratio. Almeno per noi comuni mortali.

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