Roma - Da un mese il ministero della Difesa e le Forze armate italiane sono sotto attacco informatico. Nel mirino è il «C4i»: suona come il personaggio di Guerre stellari , ma è il termine con cui viene indicato il «sistema di comando, controllo, telecomunicazioni e informatica» della Difesa italiana. In pratica la rete tecnologica su cui viaggiano le informazioni gestite dalle nostre Forze armate.
Dunque non è difficile capire perché la minaccia abbia fatto scattare più di un campanello d'allarme a Palazzo Chigi. Tanto che in settimana si è riunito l'apposito tavolo interministeriale per la sicurezza cibernetica presieduto dal generale Carlo Magrassi, il consigliere per la sicurezza della presidenza del consiglio. Un allarme più che serio: oltre alla Difesa tra gli obiettivi ci sarebbe almeno un altro ministero altrettanto importante, ma di certo le istituzioni militari sono le più sensibili ora che l'Italia, con la benedizione di Bruxelles, assume il comando di un'organizzazione multilaterale per affrontare la delicata emergenza in Libia. A quanto trapela, gli spioni elettronici si sarebbero già impossessati di comunicazioni mail «ordinarie» e, pare, anche di una quota di quelle considerate «classificate». Gli scambi di informazioni «top secret» sarebbero invece ancora al sicuro. Uno scenario che non può certo lasciare tranquillo il governo. Che si troverebbe nel mezzo di una bufera, dovuta all'attacco, ma anche a uno scontro interno su come affrontarlo. Al termine del vertice urgente del tavolo per la sicurezza, i rappresentanti dello Stato maggiore della Difesa si sono allontanati con l'amaro in bocca. Sembra infatti che il generale Magrassi abbia rinviato ogni decisione operativa. Una posizione attendista che in ambienti militari viene collegata alla volontà del generale di lasciare la posizione a Palazzo Chigi. Magrassi è stato scelto da Renzi appena un anno fa, ma i rapporti sarebbero tutt'altro che idilliaci e sarebbero sempre più appannati anche quelli col suo principale sponsor, Luca Lotti. Ecco perché Magrassi, cui sfuggì la nomina di grande prestigio al vertice dell'Aise (Renzi gli ha preferito Alberto Manenti), non vedrebbe l'ora di lasciare Palazzo Chigi e cercherebbe sponda presso il ministro della Difesa Roberta Pinotti. L'attacco informatico arriva dunque in un momento di scarsa compattezza della struttura di Palazzo Chigi, creata dal governo Monti proprio allo scopo di creare risposte coordinate in simili casi.
Il livello d'allarme è alto. Soprattutto perché non si tratta del classico caso di «hacktivism», cioè gli attacchi a scopo politico che si risolvono con imbarazzanti blocchi dei siti istituzionali a scopo dimostrativo. Dietro all'intrusione, i militari hanno pochi dubbi in proposito, sembrerebbe esserci una «struttura organizzata», un'espressione che nel lessico militare riconduce a minacce provenienti da chi ha mezzi ingenti, gli unici in grado di bucare le difese informatiche militari: quelle di uno Stato o quelli di un'organizzazione complessa (come quelle terroristiche). Si vagliano tutte le ipotesi e vengono in mente le recenti polemiche tra Washington e Pechino, con reciproco scambio di accuse di spionaggio informatico. Ma la verità è che, come lo scandalo Datagate ha confermato (ma non è certo una novità), le azioni di spionaggio potrebbero provenire anche da uno Stato alleato.
I controlli sono stati affidati Microsoft e Red Cap, dunque società esterne al perimetro pubblico e non dotate dei requisiti di accesso a segreti militari. Ma nel mirino, più che piani dell'esercito, potrebbero esserci segreti industriali legati alla tecnologia della Difesa.Twitter: @giuseppemarino_
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